Olga

INSIEME A TE NON CI STO PIÙ. CON EFFICACIA IMMEDIATA (video)

“Donne in campo. Quando è il potere a essere violento” – Ascoli Piceno, 12 marzo 2017 – Sala Cola dell’Amatrice, Complesso Monumentale di San Francesco

Olga Anastasi legge brani tratti da “MI SA CHE FUORI è PRIMAVERA” di Concita De Gregorio – Narratori Feltrinelli, e “LACCI” di Domenico Starnone, Einaudi Editore. Alessandra Hopps fa da contrappunto con massime della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Nella Sentenza Cengiz Kilic c. Turchia del 06 dicembre 2011 la Corte Europea dei Diritti dell’uomo ha stabilito che a causa dell’eccessiva durata del divorzio, con riferimento alla responsabilità genitoriale e ai diritti di visita del genitore non convivente con il minore, vi fu violazione dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione. Lo Stato non era stato all’altezza dei suoi compiti e non aveva adottato tutte le misure che avrebbero potuto ragionevolmente essere adottate.
Era stato inoltre violato il diritto al giusto processo in un tempo ragionevole per le conseguenze sulla relazione fra i genitori e il figlio. La Corte ha richiamato la raccomandazione del Consiglio d’Europa sulla mediazione familiare che avrebbe potuto ridurre il conflitto fra le parti e consentire la continuità dei rapporti personali.

 

Nel caso Elisaveta Talpis c. Italia del 2 febbraio 2017 la Corte europea ha condannato per la prima volta l’Italia per la lentezza nel proteggere una donna e suo figlio in un caso di violenza domestica per atti compiuti dal marito che hanno poi portato all’assassinio del ragazzo e al tentato omicidio della moglie. I giudici di Strasburgo hanno stabilito che “non agendo prontamente in seguito a una denuncia di violenza domestica fatta dalla donna, le autorità italiane hanno privato la denuncia di qualsiasi effetto creando una situazione di impunità che ha contribuito al ripetersi di atti di violenza”. La Corte ha condannato l’Italia per la violazione dell’articolo 2 (diritto alla vita), 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) e 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione europea dei diritti umani.

Con sentenza del 29 aprile 2003 nel caso Iglesias Gil e A.U.I. c. Spagna la Corte di Strasburgo ha riconosciuto la doglianza della donna secondo cui le Autorità spagnole non avevano assunto misure appropriate e diligenti per assicurare l’immediata esecuzione delle decisioni che le assegnavano la custodia esclusiva della figlia, portata negli Stati Uniti dal padre. La Corte ha sostenuto che vi fosse una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare. – Nel caso Sneersone e Kampanella c. Italia del 12 luglio 2011 la Corte ha condannato l’Italia per aver ordinato il rientro in Italia dal padre di un giovane che viveva con la madre in Lettonia.
Secondo la CEDU il Tribunale italiano aveva dato una motivazione carente e una risposta inappropriata al trauma psicologico che inevitabilmente sarebbe derivato da un taglio improvviso e irreversibile del forte legame tra madre e figlio.

Nella sentenza CEDU contro la Romania del 19 febbraio 2013 sono stati considerati il ricovero psichiatrico di una madre e il collocamento in comunità dei due figli minori.
La Corte ha ritenuto violato l’articolo 8 della Convenzione sia per il ricovero della donna, sia per l’affidamento dei suoi figli minorenni in istituto. La Corte ha sottolineato che in Romania vi era un ampio numero di precedenti per reclusione impropria di soggetti affetti da disordini psichiatrici. La Corte ha concluso che, nel giudizio sulla situazione clinica della ricorrente, le Autorità rumene non avevano seguito le procedure e, inoltre, non avendo nominato per lei un avvocato o un curatore, avevano privato la ricorrente del suo diritto a essere parte del procedimento con cui si era deciso il collocamento dei figli in comunità.

Nel caso PALAU-MARTINEZ contro Francia (sentenza 16 dicembre 2003) invece, seguito al caso Hoffmann contro Austria (23.6.1993), la protagonista, donna e madre, solo per aver professato una fede diversa da quella del marito, con un giudizio discriminatorio basato su considerazioni esclusivamente di ordine religioso e non su un pregiudizio oggettivo, si è vista sottratta l’affidamento dei suoi tre figli senza tener conto che vivevano con lei da sempre e da quasi quattro anni dopo il divorzio, dimostrando amore e attaccamento nei suoi confronti. La Corte ha quindi sanzionato il processo con cui i giudici francesi avevano revocato i diritti genitoriali alla madre perché Testimone di Geova con una decisione carente che non aveva tenuto conto nemmeno del precedente abbandono del domicilio familiare da parte del marito.

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