Olga

Scritti da Olga Anastasi

LE LINEE GUIDE SULL’ALLONTANAMENTO DEI MINORI DALLE FAMIGLIE (video)

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https://www.youtube.com/watchv=o0ZaQMesQyg&t=0s&list=UU2x8NkemxvI8nn0itTXBa6A&index=41

Il 13 Novembre 2015 l’Ordine Nazionale Assistenti sociali ha presentato il documento del “Tavolo interistituzionale sui processi di sostegno e tutela dei minorenni e delle loro famiglie” presso la Sala Monumentale della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Le nuove linee guida per i “Processi di sostengo e tutela dei minorenni e delle loro famiglia”, redatte da un tavolo interistituzionale, coordinato dall’Ordine degli Assistenti Sociali, a cui hanno partecipato Palazzo Chigi, il ministero della Giustizia, il ministero dell’Interno, l’Autorità garante per l’Infanzia e l’adolescenza, rappresentanti istituzionali di avvocati, giornalisti e psicologi insieme con tra gli altri l’Arma dei Carabinieri  e l’Associazione Nazionale Magistrati.

La complessità del sistema di protezione del minore di età e delle famiglie anche per la peculiarità di ogni singolo intervento che sempre costituisce un unicum; la molteplicità delle figure professionali che vi concorrono con responsabilità diverse, ciascuna con il proprio contesto di riferimento culturale; l’aggiornamento del quadro normativo nazionale ed internazionale: sono questi gli elementi dai quali ha preso le mosse l’iniziativa di predisporre nuove linee guida sulla delicata materia dell’allontanamento dei minorenni dalle loro famiglie e sugli interventi di sostegno e protezione volti a restituire il minorenne ad un ambiente familiare adeguato.

L’allontanamento – spiega il Documento che presenta anche una ricca appendice normativa – deve essere realizzato solo come estrema ratio ed agire in senso protettivo; gli interventi effettuati, prima e dopo, debbono essere anche tesi a stimolare nel minorenne un cambiamento del significato che lo stesso attribuisce alla ricostruzione del nucleo familiare d’appartenenza.

Molte sono le indicazioni fornite nel documento. Tra queste, evitare il ricorso alla forza pubblica se non come modalità residuale ed estrema e, comunque, se indispensabile, al fine del mantenimento dell’ordine pubblico o della necessità di salvaguardare la sicurezza pubblica e l’incolumità fisica delle persone anche estranee, da attuarsi con il coinvolgimento di personale in borghese e idoneamente formato; conservare, ove possibile e nell’interesse del minorenne, la relazione figlio/genitori con modalità congrue, disciplinate e costantemente monitorate dall’Autorità giudiziaria durante tutto il periodo di allontanamento; dare continuità alla relazione tra fratelli, prevedendo che questi siano possibilmente accolti nella medesima famiglia affidataria o nella medesima struttura di accoglienza; predisporre, contestualmente da parte dei servizi sociali e sanitari, un dettagliato progetto di sostegno e recupero del rapporto figlio-genitori, anche in questo caso disciplinato e monitorato dall’Autorità giudiziaria e che tale progetto, ove possibile nell’interesse del minorenne, sia partecipato nel suo complesso, negli obiettivi e nelle tappe intermedie al minorenne e ai familiari.

 

IL CIRCOLO VIRTUOSO

Se si è in possesso di una forza dell’intelletto tanto completa, articolata e matura da trasformare una antica disciplina in un mezzo valido per comprendere la realtà contemporanea, allora può accadere davvero qualcosa di straordinario e duraturo. Quando nel 1960 H. G. Gadamer diede alle stampe Verità e Metodo, il filosofo colpì al cuore l’antica tradizione dell’interpretazione dei testi, nata in ambito religioso con lo scopo di trovare e spiegare il corretto significato dei testi sacri, e in seguito adottata per la spiegazione dei testi giuridici.[1]

Ermeneutica – dal greco hermeneúein “interpretare, tradurre” – deriva dalla stessa radice etimologica del nome del dio Hermes, il Nunzio messaggero degli dei, collegata al termine latino sermo, “discorso”. L’etimologia chiarisce il significato di spiegazione, interpretazione, processo grazie al quale si attua la comprensione di: la complessità di un testo, l’oscurità di un oracolo, la difficoltà di una norma giuridica, l’impenetrabilità di un passo della Bibbia. Gadamer attribuisce all’ermeneutica una valenza attuale e la disciplina antica si trasforma da metodologia interpretativa in riflessione filosofica. La centralità attribuita all’interprete, che nell’incontrare l’opera o la norma giuridica la ricrea e la arricchisce di nuovi significati, è propriamente il nucleo di quella che Gadamer chiama “integrazione ermeneutica” che si attua nella “fusione degli orizzonti”, poiché il dialogo tra oggetto e interprete è un confronto tra mondi diversi che genera nuove idee. Il centro filosofico dell’ermeneutica non si trova nell’atto dell’interpretare ma del COMPRENDERE. Perché questo accada, è necessario porsi in atteggiamento di profonda ricezione, consapevoli che la nuova interpretazione avverrà considerando le conoscenze che su quell’opera o su quella legge possediamo già come parte del nostro patrimonio culturale, a sua volta eredità del sapere che ci ha preceduto, formando una nuova tradizione. Nell’interpretazione dell’opera d’arte o del testo giuridico dunque, si attua un processo di trasformazione e integrazione, purché ci si muova in un orizzonte comune di senso entro cui è davvero possibile comunicare e comprendere. Il circolo costituito da fruizione, comprensione e interpretazione si mostra così nella sua vera natura di CIRCOLO VIRTUOSO che accoglie il senso, lo anticipa e lo rigenera.

Come l’interprete dell’opera d’arte, il giurista è immerso nella tradizione della propria disciplina, partecipando creativamente alla produzione del Diritto: interpreta e rielabora le norme già codificate e genera senso nuovo accrescendo la tradizione, attraverso l’anticipazione di idee future. Le norme giuridiche diventano rappresentazioni di senso nell’atto di interpretare di volta in volta un caso concreto, sintesi perfetta di teoria e prassi, di studio e applicazione, col “fine ultimo di conoscere per operare e operare conoscendo” perché “l’esperienza umana non è fatta di stati di coscienza atomistici e puntuali, ma di connessioni di significato che implicano un incessante riordinamento retrospettivo e prospettico” che si attua per gradi, aggiustamenti e rinvii successivi. Ciò che Gadamer intende per esperienza ermeneutica, e che identifica esemplarmente nell’incontro con l’opera d’arte, si rintraccia quindi anche in altri ambiti delle relazioni e attività umane, prima fra tutte quella giuridica. Scrive il filosofo: “Il giudice non applica solo in concreto la legge, ma con la sentenza che pronuncia porta uno sviluppo del diritto”, a convinzione della tesi secondo cui l’interpretazione non è atto passivo, ma genesi creativa di ulteriori aspetti e significati. Un appuntamento da non mancare, un incontro con la verità di noi stessi, delle cose e dell’altro.

[1] Hans Georg Gadamer, Verità e Metodo. Lineamenti di un’ermeneutica filosofica, Milano 2001. In questa raccolta di dodici saggi scritti tra il 1968 e il 1998, il filosofo tedesco riflette sulla comprensione dell’essere umano nella sua totalità e rende manifesto il carattere universale del fenomeno del comprendere, rintracciandone le condizioni di possibilità, ossia le strutture trascendentali che ne rendono sempre di nuovo possibile la genesi nel pensiero umano.

Paola Pallotta, “Arte e Diritto, la bellezza delle relazioni umane” in O. Anastasi, IL DIVORZIO COLLABORATIVO, l’arte di separarsi con amore”, 2014 © Riproduzione riservata

VADEMECUM PER I PROCEDIMENTI DI SEPARAZIONE E DIVORZIO DI COPPIE CON ELEMENTI DI ESTRANEITÀ

Vademecum elaborato dal Tribunale di Verona in collaborazione con l’Università di Verona sui procedimenti di separazione e divorzio di coppie con elementi di estraneità. http://lnx.camereminorili.it/wp-content/uploads/2018/03/VADEMECUM-Diritto-Famiglia-MARZO-2018.pdf

 

LA CONTINUITÀ DEGLI AFFETTI NELL’AFFIDO FAMILIARE

Un documento di studio e di proposta elaborato da un gruppo di lavoro della Consulta delle associazioni e delle organizzazioni, istituita e presieduta dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza. http://www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/affetti-affido-familiare.pdf

Roma, giovedì 22 febbraio 2018

LA VOCE UNIVERSALE

 L’arte infatti si manifesta pur sempre come una cosa, un oggetto, un prodotto, un’opera d’arte. […] e sempre contiene tuttavia una condizione che non è propriamente qualcosa di determinato. Solo che l’arte, guardandola-attraverso, in qualche modo la esibisce e la rende percepibile.[1]

L’opera d’arte si mostra dunque come l’occasione di riflessione sulla natura delle cose e degli accadimenti e ci costringe alla comprensione del conoscere in generale. Dell’arte e dell’opera d’arte si deve fare esperienza, consapevoli dell’impossibilità di definire precisamente cosa esse siano. “Nell’esperienza estetica dunque si anticipa a priori l’esperienza in genere: non semplicemente facciamo esperienze, ma lì sentiamo di essere-nell’esperienza, che ha senso fare esperienze e che da queste può sorgere una conoscenza effettiva.” A guidare l’esperienza è un principio del tutto atipico: il SENTIMENTO che mette in LIBERO ACCORDO le nostre facoltà per produrre la conoscenza. Si tratta del principio estetico del giudicare in generale, del comprendere, del pensare e del significare: per questa sua natura esige il CONSENSO DI OGNUNO.[2]

La possibilità di COMUNICARE universalmente lo stato d’animo, infatti, non è meramente personale, ma aspira all’intersoggettività e all’universalità, determinando un piacere ogni volta che questo accade, ogni volta, cioè, che sentiamo di poter comunicare. Si configura come vera e propria esigenza, una VOCE UNIVERSALE: chiamare l’altro affinché la conoscenza si compia, insieme e per ciascuno di noi.[3] L’esigenza di adesione e partecipazione dell’altro si trasforma in un imperativo imprescindibile e genera la sensazione di essere davvero all’interno di un’esperienza, nella condizione originaria del comprendere stesso. Questo compiono gli artisti e gli interpreti del Diritto: attraverso la funzione sociale e civile delle loro azioni liberano da pregiudizi e definizioni e creano il luogo della conoscenza. Con impegno e cura attuano la capacità di mettersi in gioco, per costruire il vero dialogo tra il nostro mondo e quello dell’altro nel processo di annullamento della contrapposizione e dell’estraneità. “Ogni uomo è un artista” sostiene Joseph Beuys[4], con l’intento di esaltare le qualità, il talento e la creatività di ciascuno nel proprio ambito. La creatività e l’arte sono per Beuys il CAPITALE UMANO, energia creativa che può diventare rivoluzionaria. L’arte, cioè, assume i contorni di concetto antropologico e non solo estetico, poiché è in grado di plasmare l’intera esistenza: “la rivoluzione siamo noi.

Il libro di Olga Anastasi, riflettendo su una materia così sensibile come le relazioni affettive getta una luce nuova sulla mentalità irreggimentata e la stravolge. Agendo in modo opposto a quello codificato, apre con risolutezza a una rivoluzione e costringe a pensare in modo inusuale.[5]

[1] Emilio Garroni, Estetica. Uno sguardo-attraverso, Milano 1992.

[2] Immanuel Kant, Critica della Facoltà di Giudizio, traduzione e cura di E. Garroni e H. Hohenegger, Torino 1999.

[3] Immanuel Kant, Critica della Facoltà di Giudizio, traduzione e cura di E. Garroni e H. Hohenegger, Torino 1999. A questo proposito Kant è molto esplicito: “Ora qui è da notare che nel Giudizio di gusto non viene postulato altro che tale voce universale, riguardo al piacere senza mediazione di concetti, e quindi la possibilità di un giudizio estetico, che possa essere nello stesso tempo considerato valevole per ognuno. Il Giudizio di gusto, per sé stesso non postula il consenso di tutti (perché ciò può farlo solo un giudizio logico che fornisce ragioni); esso esige soltanto il consenso di ognuno, come un caso della regola, rispetto al quale esso attende la conferma non da concetti ma dalla adesione altrui.

[4] Joseph Beyus (1921-1986) è stato il più importante artista tedesco contemporaneo, icona del Novecento, portavoce dell’arte concettuale. Docente di Scultura all’Accademia di Belle Arti di Düsseldorf, da cui viene espulso per le idee troppo all’avanguardia, l’artista affronta, lungo tutta la carriera, temi fondanti dell’arte contemporanea, mantenendo sempre un afflato didattico, da educatore. Attraverso i suoi Objekten (sculture, installazioni) e le sue Aktionen (eventi, happening, performance) mette in scena con costante provocazione la volontà di andare oltre il concetto di arte tradizionale, estendendo la sfera estetica al pensiero e all’agire umano. Impressionante la varietà e la tipologia dei materiali e degli oggetti usati per rappresentare il concetto ampliato di scultura sociale, che deve realizzarsi con la partecipazione di ognuno: ferro, legno, pietra, juta, piombo, lampadine, terriccio, chiodi, stoffe, slitte, telefoni, ma soprattutto grasso e feltro, rispettivamente conduttore e conservatore di calore, elementi di particolare valenza simbolica. Amato o denigrato, lo sciamano Beuys si è impegnato senza risparmiarsi nella costruzione di una nuova società, anche attraverso il diretto impegno politico come fondatore e attivista del partito ambientalista e ecologista dei Grünen, i Verdi tedeschi.

[5] L’avvocato Anastasi mi suggerisce che il termine shift (inglese: cambiamento, spostamento) è usato nel linguaggio del Diritto Collaborativo per indicare il mutamento di paradigma.

Paola Pallotta, “Arte e Diritto, la bellezza delle relazioni umane” in O. Anastasi IL DIVORZIO COLLABORATIVO, l’arte di separarsi con amore, 2014 © Riproduzione riservata

AVANGUARDIA E RIVOLUZIONE

L’insieme dei principi generali posti a fondamento del Diritto, apparentemente fermi, risentono invece dei cambiamenti profondi della coscienza del mondo, delle richieste della società, delle evoluzioni che gli esseri umani, in quanto viventi, quasi impongono alle proprie istituzioni. Questo movimento creativo genera anche l’allargamento delle ramificazioni dei rapporti che l’Arte e il Diritto instaurano con le altre discipline, producendo relazioni esterne ai loro campi specifici (mi piace ricordare che Wassily Kandinskij, “inventore” e codificatore dell’astrattismo in pittura, divenne artista dopo la laurea in legge e che Henri Matisse intraprese la carriera artistica partendo dallo studio del diritto).

La riflessione sui fondamenti del Diritto, sull’idea di giustizia e sulla natura della legge, costituisce il perenne sfondo filosofico entro cui il giurista deve muoversi per consentire il crescere di una forma razionale che funga da modello alle diverse applicazioni. Ciò che interessa, infatti, non è solo la verità del Diritto, ma i suoi rapporti con la società e la morale, in continua metamorfosi. Lo studio dell’Arte e lo studio del Diritto comportano oggi più che mai, da questo punto di vista, una interrelazione strettissima tra campi disciplinari apparentemente non tangenti. L’INTERDISCIPLINARIETÀ è la metodologia di un approccio corretto e professionale a qualsivoglia settore di studio che guardi agli sviluppi della scienza, della medicina, della fisica, della tecnologia. Una delle novità del Diritto Collaborativo, e che Olga Anastasi vuole divulgare, si fonda sulla complessità della relazione tra i vari campi disciplinari che concorrono alla riuscita del Metodo.

Nello studio della Storia dell’arte la complessità e la varietà di quegli oggetti così speciali che chiamiamo opere d’arte richiede, nell’analisi e nella comprensione, l’affidarsi ad una visione più ampia e eterogenea che renda conto del contesto, dello spirito del tempo, dei cambiamenti generali nei modi del pensare. Si esige quindi che i metodi e gli strumenti varchino il confine territoriale della disciplina e si accostino alla matematica e alla fisica, alla musica come alla filosofia, alla biologia e alle scienze sociali e psicologiche, spesso alla religione. A mio giudizio, esempio perfetto di questo modo di operare è l’edizione del 2013 della Biennale d’Arte di Venezia, curata da un giovane critico e storico dell’arte, Massimiliano Gioni, e intitolata Il Palazzo Enciclopedico. La mostra si apriva, prendendo ispirazione e indirizzo, con l’esposizione del Libro rosso di Jung e di molte delle tavole a colori disegnate dallo psicanalista).[1]

Gli artisti, si sa, rompono il muro del silenzio e sfidano i tempi con coraggio e azzardo, scardinando l’ordine prestabilito e interrompendo il flusso della normalità, così come osò fare l’arte delle avanguardie del Novecento e come continua a fare ancora oggi, costringendo spettatori, critici e specialisti a pensare in modo inusuale, a volte così ardito da risultare scandaloso, compreso solo a posteriori. Ci misuriamo così col più grande cimento e cerchiamo le parole: l’opera d’arte ci svela la sua capacità di parlare del mondo in termini tanto diversi da quelli che usiamo nelle nostre relazioni quotidiane e rende manifesta la vera natura delle cose, ne anticipa e ne chiarisce il senso, quello originario e più inaccessibile.

Con la stessa forza anche il Diritto Collaborativo è un MODO SPECIALE DI PENSARE,[2] di cambiare se stessi insieme al mondo, non possiede la certezza dell’applicazione ma si presenta come l’unico percorso possibile, oggi, per realizzare la sintesi tra l’astrattezza della legge e la concretezza del caso particolare in materia di separazione.

Essere contemporanei, cosa richiesta sia all’artista che a colui che giudica o redige le norme che regolano da vicino le relazioni umane più sensibili, vuol dire non coincidere perfettamente col proprio tempo, ma essere in grado di percepire il buio del presente per afferrarne l’essenza. Scrive Giorgio Agamben: “La contemporaneità è una singolare relazione che aderisce al proprio tempo e, insieme, ne prende le distanze. […] Coloro che coincidono troppo pienamente con la loro epoca […] combaciando perfettamente con essa in ogni punto, non sono contemporanei perché, proprio per questo, non riescono a vederla. […] Per esperire la contemporaneità è invece necessario quello scarto che consente di scorgere l’ineffabile e contemporaneo è chi riceve in pieno viso il fascio di tenebra proveniente dal suo tempo.”[3]

[1] 55a Esposizione Internazionale d’Arte Biennale di Venezia, Il Palazzo Enciclopedico, a cura di Massimiliano Gioni, Padiglione Italia, Venezia 2013.

[2] Harold Rosenberg, L’arte è un modo speciale di pensare, Torino 2000.

[3] Giorgio Agamben, Che cos’è il contemporaneo, Roma 2008. Il testo è la lezione inaugurale del corso di Filosofia Teoretica tenuto dall’autore presso la Facoltà di Arti e Design dello IUAV di Venezia, anno accademico 2006-2007, folgorante esempio di come si possa affrontare la questione della contemporaneità con capacità immaginifica e insieme rigore filosofico.

Paola Pallotta “Arte e diritto, la bellezza delle relazioni umane” in Olga Anastasi, “IL DIVORZIO COLLABORATIVO” 2014  © Riproduzione riservata

E NON SEMBRAVA FIGLIO D’UOMO MORTALE, MA D’UN DIO

Venti regole per ridurre le resistenze in un incontro di Pratica Collaborativa

E non sembrava figlio d’uomo mortale, ma d’un dio” (Omero, Iliade, XXIV, 258-259)

Pare quindi: che l’autocontrollo e la sopportazione paziente siano cose eccellenti e lodevoli, mentre la mancanza di autocontrollo e la mollezza siano cose ignobili e biasimevoli; che chi è capace di dominarsi e chi sa tenere fermo il suo ragionamento è la stessa persona, e ciò vale anche per chi non si domina e devia dal suo ragionamento” (Aristotele, Etica Nicomachea, VII, 2)

  1. Inizia valutando te stesso in modo onesto e oggettivo.
  2. Evita di coinvolgerti come se le posizioni dell’altro fossero accuse nei tuoi confronti.
  3. Prova ad anticipare le ragioni che induconoa resistere, prevedi delle soluzioni nella tua proposta.
  4. Cerca di capire perché l’altra parte considera la tua proposta inaccettabile e cosa la renderebbe più trattabile.
  5. Chiedi quali sono le preoccupazioni, ascoltale, riconoscile.
  6. Ricerca i problemi sottostanti e le motivazioni.
  7. Offri concessioni senza aspettarti niente in cambio.
  8. Condividi i risultati e gli sforzi per arrivarci.
  9. Sii disponibile a riconsiderare e riformulare la tua proposta.
  10. Procedi a piccoli passi per risolvere un problema complesso.
  11. Crea tentativi di accordo, proponi esperimenti.
  12. Chiedi un riscontro, mostra come riceverlo, offrine uno tuo.
  13. Ringrazia l’altra parte, complimentati per le sue idee.
  14. Mettiti nei suoi panni, poi cerca una via d’uscita.
  15. Sii sincero, di’ la verità e anche l’indicibile.
  16. Fa emergere comportamenti celati in modo da poterli discutere, a tua volta manifesta i tuoi.
  17. Perfeziona la comunicazione, agevola le dinamiche, migliora i rapporti.
  18. Ricerca modalità che consentano all’altra parte di soddisfare i propri interessi senza che si senta umiliata.
  19. Va’ piano, senza forzare la conclusione.
  20. Rinuncia, con la capacità di ricominciare da capo.

Olga Anastasi © Riproduzione riservata

SENECA, DE IRA, PENSIERI SPARSI DI DIRITTO COLLABORATIVO

“La tristezza è compagna dell’iracondia, e ogni forma d’ira si risolve in essa, sia dopo il pentimento sia dopo l’insuccesso” (Seneca, De ira, II, 6)

Sappiamo che una separazione scatena una gamma di emozioni negative, rabbia, delusione, rancore; dopo averle provate e manifestate, ci si sente spossati, sovrastati da malinconia e stanchezza. Il processo Collaborativo ci sostiene nel comprendere che ciò che proviamo è quanto di più naturale possa accadere quando siamo sotto pressione.

L’avvocato Collaborativo è preparato a riconoscere questi stati d’animo e a suggerirti se è necessario ricorrere all’ausilio di uno specialista che t’insegni a dominare gli stati emotivi, affinché si trasformino a tuo vantaggio.

Lo specialista neutrale è disponibile a intervenire nel procedimento, fornendoti consulenza personale ed esclusiva oppure partecipando agli incontri a quattro o con il tuo legale per facilitare la comunicazione.

“Alcuni reati li abbiamo commessi, altri pensati, altri desiderati, altri incoraggiati; in certi casi siamo innocenti perché le cose non sono andate come avremmo voluto. Riflettiamo su questo, mostriamoci benevoli con chi sbaglia” (De ira, II, 28)

È naturale non fidarsi più del tuo compagno di vita se all’improvviso scopri che è cambiato, che ti ha tradito, o se la convivenza è diventata così insopportabile da rendere irritanti odori, rumori, abitudini che sino a poco tempo prima costituivano la vostra quotidianità. Per costruire un buon accordo di separazione, soprattutto se ci sono figli da crescere, occorre recuperare la fiducia. Nell’ammettere che il rapporto di coppia non funziona più è necessario riconoscere alla persona che avevamo scelto come coniuge le qualità positive che ci avevano orientato all’inizio. Su quelle si renderà possibile condividere obiettivi e interessi, allontanandosi da posizioni contrapposte.

“La cura più efficace contro l’ira sta nel prendere tempo […] la dilazione, in modo che si plachi il suo primo bollore, e si dissolva o sia meno fitta la nebbia che offusca la mente. Per riprendere possesso di noi stessi non servirà tanto tempo, basterà anche una sola ora” (De ira, III, 12)

Se nel corso degli incontri a quattro si creano situazioni di tensione o se durante la trattativa tra coniugi e rispettivi avvocati si verifica una fase di stallo, la seduta potrà essere sospesa per invitare la parte in crisi ad allontanarsi, da sola o con il proprio avvocato, lasciando decomprimere ansia e turbamenti; nel secondo caso si rinvia invece a un momento successivo la discussione sull’argomento che crea disaccordo, possibilmente concentrandosi su una questione più immediata e facilmente risolvibile.

“Lotta con te stesso: se vuoi vincere l’ira, essa non può vincere te” (De ira, III, 13)

Il processo Collaborativo è una palestra filosofica. Se riesci a condurlo a termine sottoscrivendo l’accordo definitivo, il migliore possibile a cui potevi oggettivamente aspirare, ti sentirai migliore, avrai acquisito il senso di ogni scelta che hai fatto, ti sarai assunto nuovamente il più arduo dei compiti, la conoscenza e l’accettazione di te e dell’altro.

Olga Anastasi © Riproduzione riservata

Seneca, De Ira, http://www.classicitaliani.it/073/Seneca_de_ira.htm

 

DAL RAPPORTO CONIUGALE UN NUOVO DELITTO CHE TUTELA LA PERSONA IN CASO DI VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI ASSISTENZA FAMILIARE

Il prossimo 6 aprile 2018 entrerà in vigore il decreto legislativo 1 marzo 2018, n. 21 contenente disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell’articolo 1, comma 85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103. (18G00046) (GU Serie Generale n.68 del 22-03-2018) che introduce alcune modifiche in materia di tutela della persona. In particolare, dopo l’articolo 570 nel codice penale sarà inserito l’Art. 570-bis dal titolo “Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio.” Le pene previste dall’articolo 570 si applicano al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero viola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli.

L’ETICA DEI PROFESSIONISTI COLLABORATIVI

La precisa volontà di modificare totalmente, quasi rivoluzionandolo, il metodo tradizionale con cui gli avvocati, i giudici, le coppie, oltre agli altri professionisti e ai soggetti variamente coinvolti, erano soliti affrontare un caso di separazione, viene espressa in modo esplicito, inequivocabile e moralmente ponderoso nel Codice Etico redatto dai professionisti Collaborativi secondo gli standard dell’International Academy of Collaborative Professionals https://www.collaborativepractice.com.

Una sorta di decalogo che non si limita a dettare norme di comportamento pratico, ma che invece abbraccia interamente le convinzioni etiche e deontologiche del professionista Collaborativo, guidandolo e sostenendolo nelle scelte che gli si presentano e che deve affrontare con lucidità e convinzione. Il Codice esplicita valori e principi necessari e imprescindibili per la piena completezza di un sentire comune e rappresenta al tempo stesso una conquista e una sfida, nell’applicazione della nuova metodologia Collaborativa e delle sue opportunità, insistendo sulla necessità dell’operare in sinergia interdisciplinare.

Sono fermamente convinta che le idee e gli orientamenti ivi espressi siano non soltanto il frutto e la conseguenza del pensiero e del lavoro costante di professionisti appassionati e di alta levatura, ma anche la trascrizione della nuova tendenza culturale, la temperie generale che ha investito negli ultimi anni tutto il pensiero giuridico e sociale delle società occidentali.

La Pratica Collaborativa si esprime in maniera molto diversa rispetto al modo di gestire un caso di separazione o divorzio col metodo giudiziario tradizionale perché obbliga coloro che la praticano a usare delle regole etiche non comuni nelle discipline individuali secondo degli standard:

  1. stabilire un sistema comune di valori, principi e criteri che guidino i Professionisti Collaborativi nelle loro scelte e condotte;
  2. creare una base di principi cardine per i comportamenti etici dei professionisti;
  3. identificare precise responsabilità dei Professionisti Collaborativi nei confronti dei clienti, dei colleghi e della collettività.

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