Olga

Scritti da Olga Anastasi

“A CHE GIOCO GIOCHIAMO?” SAN BENEDETTO DEL TRONTO, 30 GIUGNO 2016

LOCANDINA COLL SOUL BASS defCOMUNICATO

L’associazione “Gruppo di Pratica Collaborativa Ronald D. Ousky” è lieta di dare ampia divulgazione all’evento che si terrà il giorno 30 giugno 2016 alle ore 19:00 presso la Palazzina Azzurra a San Benedetto del Tronto, dal titolo “A che gioco giochiamo? Simulazione e mediazione di un conflitto di coppia”.

Nell’occasione sarà presentata alla cittadinanza l’associazione di professionisti (avvocati, psicologi-psicoterapeuti, mediatori familiari, commercialisti) che, dopo aver seguito apposito corso formativo, sono abilitati a esercitare l’innovativo metodo Collaborativo nella trattazione della crisi di coppia, evitando il contenzioso innanzi all’autorità giudiziaria e privilegiando l’assunzione di decisioni a tutela dei figli e dell’affidamento condiviso.

La formula scelta per l’evento, rivolto a tutti, è la simulazione di un conflitto familiare – i due partner saranno interpretati dai validi Emilio Iuliani e Alessandra Lazzarini della Compagnia teatrale Donattori – la cui amichevole partecipazione consentirà ai professionisti di illustrare la metodologia e le tecniche utilizzate per giungere alla composizione della lite.

Altri protagonisti gli avvocati Sarah Perrucci e Roberto Brancaccio nel ruolo di avvocati della coppia, la dottoressa Cinzia Valenti, psicologa-psicoterapeuta, l’avvocato Amelia Laureti nel ruolo di mediatore familiare, la sottoscritta che, nella qualità di presidente dell’associazione, introdurrà gli argomenti e fungerà da esplicatore,

Vi aspettiamo.

IL PRESIDENTE AVVOCATO OLGA ANASTASI

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IL DIRITTO COLLABORATIVO A ROMA

Il Diritto Collaborativo è una pratica alternativa per la risoluzione dei conflitti familiari che offre alle parti l’opportunità di trovare una soluzione condivisa, che tenga conto delle concrete e specifiche esigenze dei soggetti coinvolti, invece di far ricorso all’applicazione delle regolamentazioni standardizzate che caratterizzano i provvedimenti giudiziari in materia. La profonda utilità del metodo collaborativo trova oggi anche in Italia la sua legittimazione, in conseguenza dall’entrata in vigore della legge 162 del 2014, con cui è stato introdotto l’istituto della negoziazione assistita, che consente – anche per le ipotesi di separazione e divorzio – la risoluzione della controversia, al di fuori del tribunale, mediante la sottoscrizione di una convenzione con cui i coniugi provvedano a regolare concordemente ogni aspetto della loro relazione futura.

L’incontro si propone di presentare e approfondire, anche attraverso la simulazione pratica del conflitto di coppia, in che modo i principi ispiratori del metodo collaborativo possano condurre all’individuazione della soluzione più confacente ai coniugi interessati.

L’8 maggio 2017 dalle 12 alle 14 all’aperitivo in occasione della presentazione del corso base di negoziazione assistita con il metodo collaborativo che si terrà a Roma presso AR.MA Teatro in Via Ruggero di Lauria n.2 approfondiremo gli argomenti.

IL METODO COLLABORATIVO NELLA NEGOZIAZIONE ASSISTITA

IL METODO COLLABORATIVO NELLA NEGOZIAZIONE ASSISTITAAscoli 15.4.2017

IN MATERIA DI SEPARAZIONE E DIVORZIO 

Seminario di Approfondimento della Pratica Collaborativa

Auditorium Emidio Neroni, Rua del Cassero – Ascoli Piceno

15 MAGGIO 2017

Il Diritto Collaborativo è una pratica alternativa per la risoluzione dei conflitti familiari che offre alle parti l’opportunità di trovare una soluzione condivisa, che tenga conto delle concrete e specifiche esigenze dei soggetti coinvolti, invece di far ricorso all’applicazione delle regolamentazioni standardizzate che caratterizzano i provvedimenti giudiziari in materia.

La profonda utilità del metodo collaborativo trova oggi anche in Italia la sua legittimazione, in conseguenza dall’entrata in vigore della legge 162 del 2014, con cui è stato introdotto l’istituto della negoziazione assistita, che consente – anche per le ipotesi di separazione e divorzio – la risoluzione della controversia, al di fuori del tribunale, mediante la sottoscrizione di una convenzione con cui i coniugi provvedano a regolare concordemente ogni aspetto della loro relazione futura.

L’incontro si propone di presentare e approfondire, anche attraverso la simulazione pratica del conflitto di coppia, in che modo i principi ispiratori del metodo collaborativo possano condurre all’individuazione della soluzione più confacente ai coniugi interessati.

 PROGRAMMA

11.00 – 11.30

Registrazione dei partecipanti

11.30 – 13.30

La legge n.162 del 2014 e i metodi di risoluzione delle controversie familiari

La negoziazione assistita nel suo svolgimento pratico

13.30 – 14.00

Pausa

14.00 – 17.30

Role Play e Fish Bowls – Simulazioni di negoziazioni assistite con metodo collaborativo con la partecipazione dei professionisti presenti

Esercitazioni con Olga Anastasi, Alessandra Hopps, Marco Calabrese, Marina Marino

Supervisione Prof. Rodolfo De Bernart

www.dirittocollaborativo.it

TEMPI E COSTI NEL DIRITTO COLLABORATIVO

La complessità delle vicende patrimoniali da dirimere e la capacità dei coniugi di maturare la fine della relazione sono elementi che influiscono sul perfezionamento dell’accordo definitivo e, pertanto, rendono difficile prevedere la durata standard di un caso trattato con il Metodo Collaborativo. Variabile per ciascuna coppia, la durata complessiva delle riunioni – secondo l’esperienza – è compresa tra un minimo di sei mesi e un massimo di due anni, con una frequenza che varia dalle due settimane a una volta al mese. Al termine di ogni incontro si redige un verbale, si annotano gli appunti fondamentali e si acquisisce tutta la documentazione utile.

Gli avvocati redigono un accordo definitivo che, in Italia, consiste in un documento da depositare in tribunale per l’approvazione da parte dell’autorità giudiziaria, in tutte quelle ipotesi in cui, in presenza di figli minorenni o di figli maggiorenni con handicap gravi o non economicamente autosufficienti non sia possibile percorrere la negoziazione come prevista attualmente dalla recente legislazione: la domanda di affidamento e mantenimento dei figli, nel caso di genitori non coniugati, quella di separazione consensuale o di divorzio congiunto nel caso di famiglia fondata sul matrimonio. Persino nel Decreto Legge n. 134 il termine concordato dalle parti ai sensi dell’art. 2, comma 2, lettera a), non può essere inferiore a un mese.

Sottoscrivere la domanda di separazione o di affidamento riveste un’importanza determinante per le parti, non solo dal punto di vista giuridico quanto, piuttosto, sotto il profilo psicologico. Ciò comporta emozioni positive e negative: da una parte la sensazione di successo per essere riusciti a condurre una trattativa di negoziazione; dall’altra sentimenti di sconfitta e tristezza perché si rinnova il dolore, tipico dei primi momenti quando ipotizzare una separazione appare impossibile. Con il Diritto Collaborativo le parti, nel momento in cui sottoscrivono l’accordo finale, acquisiscono la consapevolezza che la dignità con cui hanno agito permetterà loro di ottenere dei buoni risultati anche nelle relazioni future.

Allo stesso modo della tempistica non è possibile stabilire un costo fisso per le prestazioni. Ciascun caso Collaborativo, in base alla sua complessità, al numero di riunioni, all’eventualità di coinvolgere altri specialisti (per un parere una tantum o per un’assistenza prolungata) e ai redditi della coppia, necessita di un accordo preventivo in cui, all’atto del conferimento di incarico, si determinano le prestazioni fondamentali e i parametri applicabili.

Il metodo tradizionale, poiché spesso costringe a rivedere condizioni non ponderate con attenzione in precedenza e, soprattutto, non risolve i problemi di comunicazione della coppia, può comportare un aumento imprevisto delle spese legali. Sovente le parti sono costrette a ricorrere di nuovo in tribunale per richieste di modifica riguardo l’osservanza degli obblighi di mantenimento o le modalità di frequentazione tra figli e genitori. Ciò comporta la necessità di incaricare un legale e intraprendere una nuova procedura che assorbe ulteriori costi. In Italia accade di frequente che le condizioni della separazione, se firmate frettolosamente e non scaturite da scelte realmente condivise, non siano durevoli. Una nuova unione sentimentale dell’ex coniuge, un figlio avuto da un’altra relazione o la perdita del lavoro, rappresentano cause di improvviso turbamento dei fragili equilibri faticosamente raggiunti e la successiva causa di divorzio, che deve sciogliere definitivamente il vincolo, si trasforma in un’aspra battaglia tra i coniugi, in cui riaffiorano paure represse e antichi rancori, con un’inevitabile lievitazione di spese legali. La previsione dei costi del processo, insieme alla multidisciplinarietà della metodologia per raggiungere l’accordo definitivo, riduce i rischi di modifica delle pattuizioni e abbatte l’onerosità finanziaria tipica del processo tradizionale.

Olga Anastasi © Riproduzione riservata

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IL DIRITTO COLLABORATIVO E LA SQUADRA INTERDISCIPLINARE

Negli Stati Uniti in cui nasce il Diritto Collaborativo è molto diffusa la figura del coach, nelle forme del Family Coach e Life Coach. Il compito di questo professionista consiste nell’aiutare ad “allenarsi” a leggere le dinamiche relazionali che si producono, sia tra i genitori che tra gli avvocati e i clienti. In Italia è più conosciuta e utilizzata l’assistenza di un mediatore familiare e qui, più che altrove, l’idea di ricorrervi fa ancora trasalire, sia per un diffuso pregiudizio nei confronti dei disagi della psiche, sia per scarsa informazione sul suo profilo professionale. La fine di una relazione coniugale è un passaggio complicato e doloroso tanto per la coppia che per i figli e di conseguenza la qualità della vita e del rapporto con i figli si abbassa drasticamente. Il mediatore familiare è chiamato ad aiutare la coppia nella fase di transizione, fornendo gli strumenti per recuperare una comunicazione efficace anche per il benessere della prole.

L’avvocato Collaborativo ricorda al proprio assistito che l’obiettivo fondamentale è la salvaguardia della relazione con l’altro per recuperare, mantenere e valorizzare il ruolo di genitore e a questo fine il processo Collaborativo sollecita le parti all’acquisizione della consapevolezza adeguata allo scopo.

Se i figli manifestano disagi durante il periodo della separazione, risulta necessario un aiuto concreto nel loro superamento. All’esperto di psicologia infantile i bambini possono esprimere preoccupazioni e paure sul proprio futuro, acquisendo il ruolo di soggetti di diritto e non più oggetto di contese e strumentalizzazioni. Lo specialista aiuta i genitori a riconoscere e governare le emozioni dei figli, risponde con parole appropriate ai loro dubbi e, attraverso incontri separati o congiunti, favorisce le parti a elaborare un programma educativo e di affidamento coincidente con le esigenze dell’intero nucleo familiare.

Nel Divorzio Collaborativo i professionisti sono incaricati da entrambe le parti per risolvere questioni specifiche e di conseguenza il loro parere deve mantenersi neutrale. La neutralità, che appare singolare secondo il metodo tradizionale, è invece fondamentale per garantire la buona riuscita del caso. Normalmente in un processo le questioni tecniche controverse sono oggetto di quesiti da parte del giudice a un professionista ausiliario, mentre le parti a loro volta incaricano un esperto di loro fiducia che tende a fornire un parere favorevole al proprio cliente. Nell’equipe Collaborativa i professionisti lavorano insieme verso un obiettivo comune, evitano la polarizzazione delle questioni e non si sentono costretti ad avvantaggiare una parte piuttosto che l’altra: questo potenzia la capacità di condividere conoscenze ed esperienze, migliorando i risultati.

Gli aspetti più tecnici e legati all’ambito economico e patrimoniale sono affrontati da figure professionali di commercialisti e periti i quali acquisiscono gli elementi necessari per dirimere le questioni che eventualmente si presentino (entità e tassazione degli assegni di mantenimento, polizze e investimenti, valore dei cespiti immobiliari, eventuali garanzie reali e problemi di liquidità).

Olga Anastasi © Riproduzione riservata

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SULLA MEDIAZIONE

Il successo della mediazione sembra oramai affidato dal Legislatore non solo al mediatore e agli organismi di conciliazione ma, in una logica più complessa e inclusiva, anche ad avvocati e magistrati. Come ha evidenziato l’avvocato Gianfranco Dosi sebbene il diritto di famiglia costituisca l’area più affollata di controversie su diritti indisponibili escluse dalla mediazione civile, esso è permeato anche da una vasta area di negoziabilità e di disponibilità, cosicché le controversie relative alle questioni patrimoniali potrebbero in buona parte essere ricondotte a quelle per le quali la mediazione è possibile, oltre a quelle già indicate dalla legge sui patti di famiglia e per le quali il tentativo di mediazione è obbligatorio. Il Legislatore si è orientato infatti verso una nuova mediazione in cui è fondamentale la figura dell’avvocato che deve assistere la parte sia nel primo incontro che nei successivi, fino al termine della procedura: “Il mediatore che esce dalla riforma è un mediatore professionale e di qualità, capace di individuare i punti salienti del conflitto e quindi condurre le parti a cercare un accordo frutto di adeguate soluzioni giuridiche […], mentre l’avvocato che prende in carico la difesa della parte in mediazione (sottoscrivendo l’accordo e certificando che quella è la volontà del suo cliente o opponendosi alla prosecuzione della mediazione) si assume l’obbligo professionale di chiarire al cliente le ragioni di diritto e le possibili aspettative derivanti dalla lite e il risultato positivo o negativo della mediazione sarà il frutto di un consenso informato sui diritti e sulle opportunità di proseguire il giudizio.[1]

L’avvocato Marco Calabrese, nell’analizzare la Legge 9 agosto 2013 n. 98, sottolinea come “si tratti di una straordinaria opportunità per l’avvocatura” mediante la quale “il compito del consulente legale sarà esaltato […] In altre parole, comincia per la professione legale, la sfida dell’efficienza” in cui la mediazione supera il limite della esclusiva posizione di terzietà rispetto alle parti, ora invece assistite ciascuna dal proprio legale. Un primo esempio di questa interpretazione sarebbe rappresentato dall’ordinanza del 29 ottobre 2013 con la quale il Tribunale di Milano, la cui sezione famiglia è sempre all’avanguardia nel rispondere ai mutamenti sociali in atto, ha ritenuto che l’ambito di applicazione della mediazione disposta per ordine del giudice (cd. mediazione ex officio) prescinda dall’elenco delle materie sottoposte alla cd. mediazione obbligatoria di cui all’art. 5 comma 1bis e quindi possa ricadere anche su controversie diverse, nel caso specifico aventi ad oggetto il recupero di un credito rimasto insoddisfatto nella querelle tra due coniugi: “Ove la controversia coinvolga parti legate da un pregresso rapporto affettivo, come tale destinato a proiettarsi nel tempo, la ricerca di una soluzione conciliativa risulta di evidente opportunità considerando che i litiganti, non più coniugi ma tuttavia ancora genitori debbono tener sempre presente l’interesse preminente dei figli minorenni meglio preservato se gli stessi non diventino, seppur indirettamente, oggetto di procedure giudiziali”.

Olga Anastasi © Riproduzione riservata

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[1] Antonio Rosa, Il nuovo mediatore, professionista legale di qualità, 2013 in http://www.diritto24.ilsole24ore.com/civile/civile/primiPiani/2013/07/il-nuovo-mediatore-professionista-legale-di-qualita.html.

LA DISCLOSURE DI INFORMAZIONI E DOCUMENTI

Affrontare una causa di separazione è rischioso, soprattutto quando si cerca di dirimere gli aspetti patrimoniali o riguardanti i rapporti con i figli attraverso gli strumenti del contenzioso che implicano una forte contrapposizione e la difficoltà di negoziare. Nessun avvocato può garantire l’esito del processo e nell’espletamento del suo mandato è tenuto a rispettare il dovere di sollecitazione, dissuasione e informazione, rappresentando all’assistito tutte le questioni di fatto e di diritto ostative al raggiungimento del risultato, sconsigliandolo dall’intraprendere un giudizio se l’esito che si profila è sfavorevole. È tenuto inoltre, nel rispetto del principio di trasparenza, a rendergli noto il livello della complessità dell’incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione del mandato.

D’altro canto lo spirito della normativa di separazioni e i divorzi imporrebbe alle parti, sin dall’udienza davanti al presidente, il dovere di fornire al giudice e alla controparte tutte le indicazioni e i documenti utili (dichiarazioni dei redditi, documentazione bancaria, polizze assicurative, etc.) con un obbligo di lealtà più intenso e più pregnante di quello sancito in generale nel processo civile, soprattutto riguardo a notizie sui figli e sulle capacità economiche e patrimoniali dei coniugi. Se questo non accade, le decisioni emesse dal giudice rischiano di non coincidere con le aspettative. Tradimenti, investimenti sbagliati, difficoltà a gestire conflitti o cambiamenti, possono intervenire come elementi che rallentano il processo e un assegno di mantenimento, soprattutto quello stabilito a favore di un ex coniuge, o una relazione genitore-figlio possono essere usati come strumenti vessatori dall’uno o dall’altra. Per non separarsi mai.

In molti ordinamenti comunitari sin dall’inizio del giudizio, i coniugi sono obbligati a rispettare la disclosure, intesa come esibizione a carico delle parti dei documenti riguardanti la propria situazione patrimoniale, e sulla sua base vengono di solito assunti i provvedimenti provvisori.” Gli standard europei rispecchiano un modello culturale ispirato all’assoluta trasparenza nelle relazioni familiari anche al momento della crisi del matrimonio; la prassi in uso nei nostri tribunali tuttavia utilizza ancora poco questo strumento e il risultato sono cause affette da tempi lunghi e da un’istruttoria poco efficace. Un maggiore utilizzo degli obblighi di disclosure, insieme a una formazione specialistica di magistrati e avvocati,[1] permetterebbe di giungere a provvedimenti più adeguati e a giudizi più rapidi e meno dolorosi. Di converso vige la massima applicazione dell’obbligo di disclosure, ossia della completa e piena comunicazione di ogni elemento rilevante per i punti oggetto di discussione, ivi comprese le notizie finanziarie, secondo il modello in uso ormai quasi uniformemente in Europa; il raggiungimento di un accordo sul nuovo assetto familiare, l’assunzione di un piano educativo per i figli, l’impegno economico assunto nel corso della Pratica Collaborativa, sono tutti aspetti che non possono prescindere da una corretta, leale e veritiera consegna delle informazioni economiche

In un caso Collaborativo, se una parte nasconde o travisa consapevolmente informazioni o documenti utili, oppure agisce in modo da trarre indebito e sleale vantaggio e, dopo essere stata informata dei suoi obblighi, persiste nel comportamento, il Professionista Collaborativo rinunzierà al suo mandato. Inoltre, se tale condizione è stata chiaramente indicata nell’Accordo Partecipativo, la condotta comporterà la cessazione del rapporto professionale e del Processo Collaborativo.

È uno degli aspetti del Metodo Collaborativo che presenta maggiori criticità, resistenze con il rischio di reticenza dei coniugi data la sua crucialità. Se una delle parti sospetta che l’altra usi artatamente la Pratica Collaborativa, risulterà più arduo creare un clima di fiducia e le parti, nella convinzione di proteggere i propri interessi, potranno essere riluttanti persino con i propri legali. Gli avvocati sono comunque deontologicamente vincolati al dovere di segretezza, al divieto di produrre la corrispondenza scambiata con il collega, oltre che al dovere di astenersi dal deporre su fatti o circostanze di cui siano venuti a conoscenza. Sulle parti, di converso, al di fuori del Processo Collaborativo, non grava il medesimo obbligo, con la conseguenza che, se esse sono venute a conoscenza di informazioni personali riservate, l’eventualità che la Pratica Collaborativa fallisca non le fa sentire tutelate e possono voler mantenere il riserbo per il timore di un eventuale giudizio contenzioso.

Una formazione specialistica di magistrati e avvocati è suggerita anche nelle Linee Guida che il Consiglio d’Europa ha adottato il 17 novembre 2010 e in cui delinea i principi cardine di una giustizia a misura di minore, già patrimonio comune del nostro ordinamento nell’ambito del sistema integrato della tutela dei diritti fondamentali attraverso la CEDU, la Carta di Nizza così come emendata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 (Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, 2000/C 364/01) e la Convenzione Europea sull’Esercizio dei diritti dei minori adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996 (ratificata e resa esecutiva in Italia con la Legge n. 77 del 2003).

Olga Anastasi © Riproduzione riservata

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IL DIRITTO COLLABORATIVO È APPLICABILE ANCHE ALLE COPPIE DI FATTO

Prima della riforma del 1975 la famiglia si identificava, nella visione della legge, in una società gerarchicamente organizzata in cui il marito era il pater familias, aveva potestà maritale sulla moglie e l’obbligo di mantenerla. Successivamente la normativa si è adeguata al precetto costituzionale dell’uguaglianza morale e giuridica tra i coniugi e la realtà del rapporto di coniugio è cambiata: marito e moglie, secondo la legge, dovrebbero dar luogo a una comunione materiale e spirituale, dovrebbero condividere mensa e talamo, oltre che l’obbligo di fedeltà, di assistenza morale e materiale, di collaborazione nell’interesse della famiglia. Quando la comunione spirituale tra i coniugi si incrina l’attuale normativa, diversamente da quella precedente che sanciva la cultura del sacrificio e della sopportazione legata al concetto di indissolubilità, propone il rimedio della separazione e del divorzio.

L’Italia è a buon titolo considerata la culla del diritto e, se da una parte l’avvocato ha una formazione solo giuridica che lo induce ad attribuire supremazia alla soluzione del caso in base al ricorso a norme di legge o alla giurisprudenza, dall’altra il cliente è portato naturalmente a chiedersi quali siano i suoi diritti e che cosa rischi venendo meno a determinati doveri o pretese dell’altro, risultandogli difficile ipotizzare che il diritto rappresenti solo una delle possibili soluzioni, non l’unica, di una controversia coniugale. D’istinto ci si rivolge pertanto a un avvocato per conoscere quali siano i modi per ottenere tutela di quel bene della vita, l’unione affettiva, che la crisi di coppia sta rendendo instabile.

Alla cessazione del rapporto affettivo e della convivenza in una famiglia non fondata sul matrimonio non si applicano invece le specifiche norme che regolamentano l’istituto della separazione e del divorzio. La coppia cessa di convivere e, senza pronunce giurisdizionali, si dà in autonomia delle regole, conferendo rinnovato assetto a un’unione che non è più tale. Vengono meno infatti la coabitazione, la comunione di intenti, la progettualità che derivano dalla convivenza, sostituite da un equilibrio che, per l’adulto, significa tornare a condurre una vita autonoma e per i figli, quando ci sono, comporta acquisire la consapevolezza che i genitori non sono più coppia. Tutto ciò senza che la situazione familiare si sia modificata per l’ordinamento giuridico.

Questo non esclude, tuttavia, il verificarsi nella coppia di dinamiche emotive e comportamentali del tutto identiche a quelle di una unione fondata sul matrimonio, oltre alla necessità di dirimere questioni complesse, come l’affidamento dei figli minorenni e gli obblighi nei loro confronti.

La Legge 10 dicembre 2012 n. 219 ha compiuto un significativo passo in avanti nella considerazione e nel trattamento giuridico dei figli nati fuori dal matrimonio rispetto ai figli definiti tradizionalmente “legittimi” o “incestuosi”, quando nati da un rapporto tra parenti o affini, equiparandoli nella denominazione unificante di “figli”. Inoltre, nell’attuazione operata dal Decreto Legislativo 28 dicembre 2013 n. 154 (entrato in vigore il 7 febbraio 2014), ha sottratto al Tribunale per i minorenni la competenza a decidere i procedimenti per l’esercizio della responsabilità dei genitori sui figli nati fuori dal matrimonio, attribuendola al tribunale ordinario, ora competente in via esclusiva a occuparsi delle vicende separative e dei connessi profili di regolamentazione dei rapporti personali e economici tra genitori e figli. In questo tipo di processi, tuttavia, il cosiddetto rito camerale è privo di quella fase conciliativa applicata ai procedimenti di separazione e divorzio e dunque la unificazione effettiva delle regole procedurali è ancora lontana.

Con l’introduzione della legge sulla negoziazione assistita in materia di separazione e divorzio il Legislatore si è addirittura “dimenticato” delle famiglie non fondate sul matrimonio. Mentre nel sistema di risoluzione pubblico delle controversie gli effetti giuridici che, per alcuni ambiti circoscritti, la legislazione ordinaria e speciale riconduce alla famiglia di fatto differiscono in maniera evidente dalla disciplina prevista per la famiglia fondata sul matrimonio, la risoluzione alternativa delle controversie con il sistema del Diritto Collaborativo ha il pregio di salvaguardare invece i rapporti familiari in genere, come tali destinati a proiettarsi nel tempo (ongoing relationships), attraverso l’utilizzo di identiche regole e procedure uniformi.

Olga Anastasi © Riproduzione riservata

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FAVORIRE LA COMUNICAZIONE

Il Diritto Collaborativo riesce a convincere le parti che la vera vittoria, in una separazione, è diventare capaci di assumersi le proprie responsabilità. Non conta di chi sia l’iniziativa della separazione né chi sia responsabile del fallimento del matrimonio perché, grazie a questo tipo di processo si diventa capaci di orientare le proprie scelte e risolvere il caso, più di quanto non lo siano, nel processo tradizionale, giudici, avvocati o mediatori. Nel modo di agire consueto c’è il vantaggio, in caso di fallimento, di attribuirne la responsabilità ad altri: l’avvocato, l’altro coniuge, il sistema giudiziario, la legge e ciò può dare temporaneamente sollievo. Per comprendere se si è adatti alla pratica Collaborativa occorre chiedersi se si è disponibili ad accettare le proprie responsabilità, impegnandosi a risolvere le difficoltà insieme all’altro coniuge e ai rispettivi legali. Il rischio di veder naufragare le trattative è insito nella tendenza a credere che il successo della propria separazione dipenda dall’avvocato, come nel metodo tradizionale, in cui si ritiene che la vittoria in causa dipenda dall’eccezione processuale o dalla norma che il buon legale conosce e sa utilizzare. Nello sconvolgimento emotivo determinato dalla decisione di separarsi i pensieri si concentrano su questioni urgenti e su problemi che necessitano di soluzioni immediate. Con la formazione in diritto Collaborativo invece l’avvocato chiede al proprio assistito di distogliere l’attenzione dai problemi che sembrano improcrastinabili e di concentrarsi sulle questioni che potrebbero rivelarsi determinanti nel lungo periodo.

La separazione personale di solito viene affrontata come una questione esclusivamente giuridica. Nel processo tradizionale si trascurano gli aspetti emotivi di una relazione che non funziona più e che ha bisogno di essere sovvertita nelle modalità di interazione. Il primo passo importante è blandire la violenza dei sentimenti di ostilità e non indirizzarli verso l’altro coniuge, per non vanificare la possibilità di un accordo duraturo. Comprendere le dinamiche relazionali della coppia durante il matrimonio implica il misurare la fiducia reciproca, la tendenza a recriminare, la pretesa di controllo sull’altro. Talvolta si tratta semplicemente di uno sbilanciamento di potere: spesso uno dei coniugi ha un ruolo dominante che può dipendere da vari fattori come la disponibilità finanziaria o lo status sociale di origine, l’abilità nel controllare le proprie emozioni o la formazione culturale e intellettuale. La coppia deve essere aiutata a creare un ambiente sereno in cui sentirsi a proprio agio, senza che nessuna delle parti eserciti forme di intimidazione o di indebito controllo sulla trattativa. Nessuno deve sentirsi spaventato, obiettivi e aspirazioni devono poter essere espressi in tranquillità e senza timori di rappresaglie. Le parti debbono sentirsi libere di valutare le proposte e di avanzare obiezioni, con l’espresso divieto di scambiarsi accuse e offese perché, se è naturale provare rabbia e altri sentimenti negativi, questi, d’altro canto, ostacolano la possibilità di considerare la soluzione migliore. Gli avvocati e gli altri eventuali professionisti devono aiutare la coppia a recuperare la capacità di comunicare, consolidandola.

Dal punto di vista terminologico nella negoziazione l’interesse-desiderio è il bisogno primario connesso agli obiettivi centrali della vita di una persona, mentre la posizione-pretesa è una manifestazione di volontà non necessariamente connessa a un bisogno. Distinguere tra posizione-pretesa e interesse-desiderio è importante nell’ambito delle questioni finanziarie o del tempo da trascorrere con i figli. Un esempio molto comune è l’asserzione “voglio l’affidamento esclusivo dei figli” in cui, sebbene l’interesse-desiderio del genitore sia trascorrere del tempo significativo con la prole, egli assume automaticamente la posizione-pretesa piuttosto che pensare a come potrebbe soddisfare il suo bisogno, a prescindere dalla definizione legale.

Se si mette la coppia in condizioni di indagare le motivazioni di fondo non attraverso il linguaggio giuridico, che raramente si comprende, ma con il dialogo strategico e il linguaggio assertivo, è più facile che essa ottenga i risultati attesi. Al cliente spesso non è chiara la motivazione sottesa a una specifica pretesa che talvolta non coincide, o addirittura è in contrasto, con i suoi reali bisogni e i valori in cui crede. Può accadere che la parte constati che la posizione-pretesa coincide piuttosto con l’inconscia volontà di creare un contesto vinto-vincitore cui può rinunciare, perché non indispensabile alla soddisfazione del suo interesse-desiderio.

Olga Anastasi © Riproduzione riservata

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SBLOCCARE LA SITUAZIONE

Il Processo Collaborativo fallisce in bassissima percentuale. I rari insuccessi sono ascrivibili al mancato raggiungimento dell’accordo definitivo, sebbene le parti coinvolte condividano lo spirito del metodo, a causa dello scarso impegno individuale nonostante le indicazioni e i suggerimenti degli avvocati e degli altri professionisti. Abbandonare il metodo Collaborativo implica rinunciare al sostegno dell’avvocato che ha seguito il caso e obbliga a rivolgersi ad altri professionisti disposti ad affrontare la causa. In queste circostanze è inevitabile provare un profondo senso di fallimento al quale si aggiunge la preoccupazione circa gli esiti incerti cui espone un procedimento giudiziario.

Qualora ci si renda conto che il processo sta subendo impasse di notevole portata, tale da bloccare le trattative, impedire progressi, mettere addirittura a repentaglio l’accordo definitivo, si possono adottare delle tecniche e utilizzare degli accorgimenti adatti a rimuovere le resistenze e allentare le discussioni:

  1. sospendere il Processo:
  2. riepilogare il percorso e considerare ciò che resta ancora da risolvere;
  3. sollecitare le parti a rivedere i punti dell’Accordo Partecipativo e lavorare di nuovo verso obiettivi specifici e comuni; ciò aiuta a segmentare i problemi in passaggi più facili e risolvibili;
  4. rinviare le discussioni su un determinato tema e passare ad altro, chiarendo che si tornerà in seguito sull’argomento;
  5. concedersi e concedere il tempo necessario a razionalizzare e prendere le distanze; assegnare alle parti precisi compiti da svolgere individualmente;
  6. se è necessario affrontare nuove questioni, utilizzare una modalità dubitativa;
  7. fare un passo indietro e considerare di nuovo quali siano davvero i bisogni sostanziali, psicologici o procedurali;
  8. verificare le prospettive;
  9. incoraggiare i clienti a rivedere i propri BATNA[1] e MLATNA[2];
  10. ricordare alle parti che, anche se l’opzione proposta può non apparire perfetta, è sempre preferibile all’eventualità di lasciare irrisolta la controversia;
  11. sottolineare i progressi incoraggiando le parti a considerare l’accordo nel suo complesso;
  12. ricordare a tutti che l’atteggiamento che sta generando la situazione di stallo può impedire ulteriori progressi; le parti non sono tenute a cambiare, ma in questo caso il problema si ripresenterà;
  13. discutere solo alla fine del processo.
  14. Altre tecniche:
  15. se i partecipanti rifiutano l’opzione proposta e gli attribuiscono la responsabilità dell’impasse, indurli a interrogarsi su un’alternativa praticabile;
  16. per alcuni problemi potrebbe essere necessario trovare urgentemente una soluzione anche provvisoria, salvo riesaminarla dopo un certo periodo di tempo;
  17. coinvolgere esperti esterni per aiutare i partecipanti a interagire o acquisire un punto di vista oggettivo;
  18. chiedere pareri scritti ad altri professionisti, se emergono dati che impediscono il progresso della trattativa;
  19. adottare il silenzio;
  20. chiedere alle parti cosa farebbero per rendere il processo più efficace;
  21. in sessione separata, ottenere che il cliente esprima aspettative o alternative, rimandando la condivisione a un momento successivo;
  22. come ultima opzione, proporre alternative ulteriori in modo che le parti possano considerarle, conservando facoltà di scelta.

[1] BATNA è l’acronimo di Best Alternative To a Negotiated Agreement ossia la migliore alternativa rispetto all’accordo negoziato. Il BATNA è il punto di partenza di qualsiasi negoziazione. Quanto più è forte e appetibile l’alternativa tanto più aumenta il potere negoziale. Per questo prima di accettare una proposta è fondamentale valutare attentamente quali siano le alternative possibili.

[2] MLATNA è l’acronimo di Most Likely Alternative To a Negotiated Agreement, ossia l’alternativa preferibile all’accordo negoziato. WATNA sta invece per Worst Alternative to a Negotiated Agreement, la peggiore alternativa possibile.

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