Olga

Articoli nella categoria Diritto minorile, delle persone e delle relazioni familiari

IL RUOLO DI PACIFICATORE SOCIALE DELL’AVVOCATO

Da più parti si constata che l’avvocato che si occupa di famiglia e minorenni riveste un fondamentale ruolo sociale di pacificazione, di mediazione, e di cura nel percorso che chi è coinvolto in un procedimento inerente i diritti delle persone, come la separazione o il divorzio, è costretto ad affrontare. L’essere umano si trova nella condizione innata di proiettarsi in avanti, di gettarsi nel mondo e nel tempo, attraverso progetti mediante i quali realizza e incontra il suo divenire. In questo processo la propria Weltanshauung, cioè la rappresentazione della realtà e la visualizzazione di ciò che ci si aspetta da se stessi e dagli altri, muta completamente: nel demolire un disegno esistenziale fallito e ricostruirne uno nuovo, completamente diverso, è fondamentale decidere cosa salvaguardare del patrimonio costituito dal vissuto precedente.

Sono profondamente convinta che l’avvocato (dal latino ad-vocatus “chiamato vicino a”) nel processo di ermeneutica e traduzione (dal latino trans-ducere “condurre al di là”) delle richieste della parte verso l’istituzione giudiziaria, sia un vettore nelle due direzioni, dal cittadino verso l’istituzione e viceversa, nonché il protagonista che interpreta concretamente, con un linguaggio e una comunicazione adeguati, le disposizioni legislative o giurisprudenziali applicabili alla fattispecie del proprio assistito. Quando la vicenda processuale ha ad oggetto le relazioni personali è essenziale che l’avvocato utilizzi regole che tutelino il cliente e salvaguardino i legami familiari, alleggerendo l’impatto con le norme e alleviando il peso del giudizio che ne deriva; è altrettanto importante che adotti un linguaggio modulato sulle emozioni e sui sentimenti che i propri assistiti stanno vivendo, utilizzando buone tecniche di comunicazione.

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IL PRIMO LIBRO IN ITALIA SUL DIRITTO COLLABORATIVO

Il Divorzio Collaborativo di Olga Anastasi “è il primo libro in Italia che spiega a tutti in uno stile piano e agevole, eppure preciso negli approfondimenti tecnici e giuridici, in che cosa consista questo metodo rivoluzionario che coinvolge attivamente la coppia in crisi per aiutarla a vincere la paura, il dolore e il senso di perdita connessi a una separazione, sostenendola verso il raggiungimento di obiettivi condivisi”. Queste le caratteristiche principali del volume che sarà presentato a Foggia venerdì 22 novembre, alle ore 18,30, presso la Libreria Mondadori, Via Oberdan 9/11. La serata di presentazione sarà introdotta dall’avvocato Massimiliano Arena, presidente della Camera Minorile di Capitanata, a cui seguirà l’intervento dell’autrice Olga Anastasi, avvocato, a colloquio con Costanzo Cea, magistrato, Presidente della I sezione civile del Tribunale di Foggia.

“Vivere una separazione o un divorzio – è scritto nella nota che presenta il libro – è come affrontare un viaggio in terra straniera, un luogo dove non si è mai stati e in cui le abitudini e il linguaggio appaiono completamente sconosciuti: i protagonisti del viaggio non sono sempre in grado di intuire dove vorranno essere emotivamente e fisicamente quando la vicenda si sarà conclusa. Si provano rancore, rabbia, senso di frustrazione e nel processo tradizionale i sussulti dell’anima sono trascurati. I figli sono le prime vittime di separazione e divorzio. Attraverso il metodo del divorzio collaborativo, rendendo la parte responsabile delle sue scelte, l’avvocato realizza in maniera ampia il suo ruolo sociale di interprete del diritto delle relazioni affettive offrendo alla coppia un’alternativa affinché ciascuno si assuma nuovamente il più arduo dei compiti, la conoscenza e l’accettazione di sé e dell’altro”.

Ronald D. Ousky, avvocato statunitense cofondatore del diritto collaborativo, ha dedicato al libro la sua prefazione, tradotta da Paolo Prezzavento e Paola Pallotta, la quale ha curato anche l’editing del testo. L’artista Giuseppe Stampone, vincitore dell’Art Residency all’Accademia americana a Roma e del ‘Pacco d’artista’ di Poste Italiane, è l’autore dell’opera in copertina, pezzo unico realizzato appositamente per la pubblicazione con penna bic su carta e il cui titolo ‘Me too’ vuole essere un omaggio all’anima collaborativa dell’iniziativa. https://www.amazon.it/divorzio-collaborativo-Larte-separarsi-amore-ebook/dp/B00UTCNIBM

 

IL DIVORZIO COLLABORATIVO, recensione a cura di Benedetta Piola Caselli

Nel caos emozionale che precede, perdura e segue la fine di un rapporto, è possibile gestire la conflittualità in modo collaborativo? Gli americani ci hanno provato, ed hanno elaborato delle strategie di negoziazione per portare i partner a scegliere l’ottimo di lungo periodo su quello, più contingente, del breve.

Anche perché – come è nell’esperienza di tutti – il successo immediato (un assegno più alto, l’affidamento dei figli etc…) può rivelarsi una vittoria di Pirro (lui smette di pagare, figli psicologicamente distrutti…); ed il carico emozionale che deriva da conflitti non risolti può rovinare, in un crescendo di fantasmi e recriminazioni, anche la nuova vita di chi crede di aver “vinto”.

Trasformare il dolore in un momento di crescita è, però, possibile: ma occorrono tre cose.

Primo: il rispetto dei tempi emozionali di ciascuna parte. Può accadere che, mentre per uno dei coniugi il rapporto sia già esaurito, l’altro cerchi ancora un contatto attraverso pretesti di litigio.

La fenomenologia può essere diversa – dalla regolamentazione delle visite ai figli al servizio da caffè di nonna Assunta-; le pretese dichiarate tutte più o meno apparentemente fondate; ma la ragione di fondo quasi sempre è unica: una delle parti non è veramente pronta al distacco.

Viste in questo modo, le ragioni dell’ostilità non sono occasione di giudizio sulla maturità/immaturità-adeguatezza/inadeguatezza-bontà/cattiveria delle parti, ma chiavi di lettura delle dinamiche di coppia. La comprensione di questi modelli di azione emozionale, spesso inconsci, ed il rispetto del dolore e dello smarrimento che rappresentano, costituisce il primo tassello per uno scioglimento armonico del rapporto.

Secondo: responsabilizzazione delle parti sulla posizione avuta in coppia e sulle cause dello scioglimento, in modo che nessuna si consideri vittima della forza prevalente dell’altra. Anche nei rapporti più sbilanciati, i piani del carnefice sono negli occhi della vittima: la presa di coscienza sul proprio ruolo e sulle conseguenze del proprio atteggiamento, riporta in entrambi i partner la fiducia sulla possibilità di “essere in controllo”della propria vita, ed impedisce i risentimenti dovuti alla percezione di aver subito ingiustizie ed abusi.

Terzo: una distribuzione patrimoniale equa. Nel divorzio collaborativo l’obiettivo non è riuscire ad avere il massimo possibile, ma trovare una soluzione di compromesso che eviti l’accendersi di liti future o il continuo rinegoziamento delle condizioni di separazione.

Ovviamente, in questo quadro la figura dell’avvocato deve essere completamente ripensata, poiché non si tratta più di vincere attraverso una prova di forza o un’astuta eccezione processuale, ma di costituire e coordinare un team (psicologo, mediatore, stimatore dei beni) con cui programmare un settlement di lungo periodo. In ciò, all’avvocato non è chiesto di essere mediatore imparziale, ma di assistere tecnicamente la parte, con la rilevante differenza di spingerla verso soluzioni che abbattono – e non incrementano – la conflittualità.

La conoscenza della legge diventa fondamentale in tutti e tre i momenti, perché le regole –se adeguatamente presentate- offrono alle parti un criterio oggettivo per valutare i supposti abusi affettivi, fisici e patrimoniali.

Armonia, non vittoria; prevalenza del “noi” sull’“io”: questo deve essere lo scopo del professionista, che addirittura mette nero su bianco il suo impegno a non assistere la parte in caso il tentativo della strada collaborativi fallisca.

Una rivoluzione copernicana, quindi, nel modo di impostare la propria opera professionale, che il bel libro di Olga Anastasi ha il merito di proporre e dimostrare possibile; nonché un’indicazione chiara di quello che dovrebbe essere il buon avvocato di famiglia: una figura che sappia unire all’alto tecnicismo, profonda sensibilità e buon senso.

Benedetta Piola Caselli, Avvocati di famiglia, 4, 2013 http://www.osservatoriofamiglia.it/moduli/17505652__Avvocati%20di%20famiglia%204%202013.pdf

IL DIVORZIO COLLABORATIVO, recensione a cura di Leonardo Carbone

Olga Anastasi, Il divorzio collaborativo, Capponi editore, Ascoli Piceno, 2013, pagg. 98, € 12,00.

È uscito in silenzio, per i tipi di una piccola casa editrice di Ascoli Piceno, il volumetto recensito curato da un avvocato matrimonialista, ma per la tematica affrontata e la descrizione di una “nuova tecnica” per separarsi (“divorzio collaborativo”), sono sicuro che avrà successo editoriale.

Infatti, quando si parla di separazione e divorzio, il pensiero del comune cittadino va subito ai piatti che volano in cucina, ai litigi “violenti”. Dopo avere letto il volumetto ci si rende conto, però, che la separazione o il divorzio può avvenire anche senza “spargimento di sangue”. Perché ciò avvenga è, però, necessario leggere il libro recensito, in cui l’autrice accompagna il lettore in tutto il percorso che deve seguire per una “buona” separazione o divorzio, anzi accompagna il lettore nella pratica del divorzio collaborativo.

Il volume, con la prefazione di Ronald D. Ousky (pioniere del divorzio collaborativo che ha contribuito a diffondere in tutto il mondo l’idea del suo collega e maestro, l’avvocato Stuart G. Webb di Minneapolis), affronta nella prima parte le “modalità” di separazione e divorzio in Italia (separazione consensuale, separazione giudiziale, addebito della separazione, assegno di mantenimento, divorzio). Nella seconda parte tratta della creatività dell’affidamento condiviso, per passare, nelle parti successive, al diritto collaborativo, dilungandosi ampiamente (ed egregiamente) sull’etica del divorzio collaborativo, e sull’accordo di partecipazione alla pratica collaborativa.

Come si legge nella quarta di copertina del volume, vivere una separazione o un divorzio è come affrontare un viaggio in terra straniera, un luogo dove non si è mai stati e in cui le abitudini e il linguaggio appaiono completamente sconosciuti: i protagonisti del viaggio non sono sempre in grado di intuire dove vorranno essere emotivamente e fisicamente quando la vicenda sarà conclusa. Si provano rancore, rabbia, senso di frustrazione e nel processo tradizionale i sussulti dell’anima sono trascurati. I figli sono le prime vittime di separazione e divorzio.

Attraverso il metodo del divorzio collaborativo, rendendo la parte responsabile delle sue scelte, l’avvocato realizza in maniera ampia il suo ruolo sociale di interprete del diritto delle relazioni affettive offrendo alla coppia un’alternativa affinchè ciascuno si assuma nuovamente il più arduo dei compiti, la conoscenza e l’accettazione di sé e dell’altro.

Completano il volume un dettagliato indice sommario, una ricca bibliografia e riferimenti normativi.

È un volume che si legge “piacevolmente” e una volta iniziata la lettura, si arriva facilmente alla fine, grazie anche allo stile sobrio. Il tutto non può che essere di buon auspicio per il successo del volume, anche per il costo “ridottissimo”.

Leonardo Carbone – Toga Picena, 8 dicembre 2013

UN APPROCCIO CONDIVISO di Nicoletta Barazzoni – Agorà, 30 maggio 2014

Divorzio. È possibile separarsi o divorziare in modo sereno ed equilibrato, per il bene dei illustrazione Bruno Machadocomponenti della famiglia, senza trascinare per tutta la vita odio e rancore? C’è solo un modo per separarsi (o divorziare) oppure ve ne sono molti tra i quali scegliere?

Il divorzio collaborativo si distingue nettamente dai procedimenti contenziosi di risoluzione delle controversie. Stiamo parlando di un approccio più indolore, attuato attraverso diverse opzioni improntate al dialogo, alla negoziazione ragionata, con un approccio multidisciplinare che chiama in causa anche altre figure professionali come psicologi, consulenti finanziari, specialisti dell’infanzia e operatori sociali. Non bisogna però confondere il divorzio collaborativo con la mediazione. La mediazione si avvale dell’intervento di una terza persona (il mediatore), un professionista imparziale e neutro che non è necessariamente un avvocato. La mediazione concilia le parti, migliorando la qualità della comunicazione ma non risolve gli aspetti giuridici che invece l’avvocato collaborativo può affrontare in specifico. Il divorzio collaborativo si attua con l’intervento di due legali e i rispettivi ex coniugi, che si siedono tutti allo stesso tavolo con finalità univoche. La negoziazione nel divorzio collaborativo è basata infatti sulla ricerca degli interessi reciproci. La partecipazione attiva tra le parti si svolge all’insegna della trasparenza e dell’onestà, con l’obiettivo di far prevalere l’aspetto umano su tutto.

Il ruolo degli avvocati – La pratica collaborativa mette alla prova i professionisti sotto profili che non sono necessariamente considerati dai codici deontologici delle singole categorie. Il divorzio è considerato un fatto giudiziario e dunque l’avvocato esercita la sua professione con diligenza, con coscienza, in conformità all’ordinamento giuridico. Paragonabile per certi aspetti soltanto alla responsabilità che il medico ha verso il paziente, l’etica dell’avvocato non sempre considera l’aspetto legato al vissuto precedente di coloro i quali, fino a poco tempo prima, erano marito e moglie. L’avvocato ha una responsabilità enorme nei confronti del cittadino/cliente che sta patrocinando. Tutelare il cliente e far valere i suoi diritti spesso significa creare un rapporto tra il diritto e il conflitto. Un avvocato bravo è spesso, e purtroppo, sinonimo di persona competitiva e agguerrita, un tecnico che affronta la questione con professionalità e serietà dal profilo giuridico, non tenendo però sempre conto del coinvolgimento affettivo perché quello non è il suo compito. Esistono tuttavia tipologie di avvocati come ci sono tipologie di idraulici, medici, giornalisti o panettieri. È il caso, per esempio, dei professionisti che si formano come mediatori riconosciuti dalla Federazione svizzera degli avvocati proprio per assolvere il loro compito legale mediando tra le parti, con l’intento primario di individuare una soluzione il più indolore possibile per tutti i membri della famiglia.

Sulla figura dell’avvocato – Abbiamo compiuto un mini sondaggio aleatorio tra alcuni divorziati chiedendo cosa pensassero della figura dell’avvocato sulla base della loro personale esperienza. Ecco che cosa ne abbiamo ricavato: “Nulla di più vero del proverbio che recita che tra i due litiganti l’avvocato gode!”; “L’avvocato pensa solo al suo interesse e dopo all’interesse del suo cliente!”; “L’avv. (abbreviazione di avvoltoio) è un professionista d’assalto!”; “Il suo motto è vincere, spennare l’ex coniuge, facendogliela pagare!”; “Esegue il suo mandato a testa bassa per portarsi a casa il bottino migliore!”; “Per lui la relazione affettiva è solo un intralcio!”; “Il nostro avvocato non ha fatto molto e quel poco che ha fatto potevo benissimo farlo da sola!”; “È stata durissima trovare un avvocato disposto a rappresentarci perché tanti studi legali si rifiutano di dare assistenza alle persone povere come noi!”; “L’avvocato è stata una figura indispensabile. Senza di lui non saremmo mai arrivati ad un accordo equo. È anche vero che tira le cause alla lunga per un suo vantaggio economico!”; “Gli avvocati sono la rovina totale della coppia in una situazione già delicata come un divorzio!”; “Per quanto riguarda la mia (lontana) esperienza, dal momento che all’epoca non esisteva la possibilità del divorzio consensuale, l’avvocato (d’accordo con la controparte) è servito a rendere il più semplice possibile la causa!”; “La mia legale mi ha fatto da psicologa ma a un certo punto della causa mi ha abbandonato perché non condivideva i metodi della controparte!”; “Ricordo poco del mio avvocato, se non che mi spingeva a prendermi tutti i miei diritti ma rispettando anche il fatto di non dovermi soffermare troppo a discutere, procrastinando nel tempo il divorzio, così ho dovuto lasciar perdere molti soldi!” ecc.

Olga Anastasi è l’autrice del libro Il divorzio collaborativo (Capponi editore, 2013). È avvocato, vive e lavora ad Ascoli Piceno. È attiva anche in associazioni come Telefono donna e nei centri di accoglienza.

Signora Anastasi, innanzitutto qual è il nucleo originale del divorzio collaborativo, su cosa poggia e che cosa porta di fondamentale?

“Il termine si riferisce a un metodo adottato all’inizio degli anni novanta nel Nord America da avvocati formati, coadiuvati da altri specialisti delle tematiche familiari che mira a risolvere conflitti. Evita le contrapposizioni violente tipiche del metodo giudiziario e previene traumi ai figli coinvolti. È condotto con un processo stragiudiziale, con l’utilizzo di saperi multidisciplinari e tecniche di negoziazione. La minaccia di adire il tribunale è motivo di rinunzia al mandato dell’avvocato collaborativo.”

Cosa si vuole ottenere con questo approccio? E quali sono i passi di tipo pratico da affrontare?

“La negoziazione del conflitto deve tendere al raggiungimento di un accordo siglato dalle parti. In Italia deve essere trasformato in un ricorso congiunto di separazione o divorzio. Nel rivolgersi a un avvocato che pratica il diritto collaborativo è bene chiedere approfondimenti e ulteriori spiegazioni nonché che il proprio coniuge venga contattato con le modalità previste dalle regole collaborative.”

Per quali motivi si dovrebbe optare per un divorzio collaborativo e quali vantaggi porta?

L’attenzione per gli aspetti emotivi e psicologici che di solito sono trascurati. Il processo si trasforma in un’occasione di crescita dell’individuo, la coppia viene indirizzata ad assumere scelte consapevoli nell’interesse del nucleo familiare piuttosto che iniziative dettate dal rancore, dalla paura e dal senso di rivalsa.”

Sembra un approccio di grande interesse, perché allora fa fatica a prendere piede? Forse perché è una sfida etica?

“Dall’entrata in vigore della normativa sull’affidamento condiviso le coppie sono diventate più consce del diritto/dovere alla bigenitorialità, affiora una maggiore disponibilità a superare i rancori e a prevedere soluzioni alternative, a meno che non si discuta di gravi abusi o maltrattamenti. La resistenza è soprattutto culturale, legata al tempo e ai mutamenti che ogni novità richiede. Gli avvocati manifestano una personalità tendente all’individualismo e una formazione basata esclusivamente sulla conoscenza esclusiva delle leggi e della giurisprudenza. Fatica ad attecchire l’idea che l’avvocato debba lavorare in squadra e facendo proprie le conoscenze multidisciplinari.

Christoph Imhoos ha fondato a Ginevra l’Associazione svizzero romanda di diritto collaborativo. È formatore nella gestione dei conflitti, insegna all’università di Ginevra. È mediatore iscritto in vari ambiti professionali, e titolare del Master europeo in mediazione.

Avvocato Imhoos, nella sua pratica ha mai affrontato dei divorzi collaborativi?

“No. Il problema è proprio questo. Molti sono interessati ma nessuno lo vuole fare perché tutti hanno paura. L’approccio al diritto collaborativo implica un cambiamento di paradigma. Questo significa che l’avvocato non ha più il compito di attaccare la parte avversa, ed essere dunque nel contraddittorio, ma è presente non soltanto per sostenere il suo cliente ma anche e soprattutto per tener conto dell’altro cliente, con lo scopo di arrivare a un intento e a un accordo equo, che sia giusto per entrambi. L’avvocato invece di interessarsi unicamente agli interessi del suo cliente analizza anche la parte avversa. Bisogna riconoscere che l’avvocato non è abituato a questa modalità. Con il diritto collaborativo ci si focalizza sulla negoziazione. Tutti gli avvocati dicono: “ma è normale, si cerca sempre di trovare un accordo bonale, siamo sempre in fase di negoziazione prima di andare a processo”. Salvo che nel diritto collaborativo ci sono due cose importanti: non si procede e dunque non si negozia con il metodo classico. Di solito l’avvocato ha l’abitudine di negoziare su posizioni, e questo significa: tu hai la tua posizione, io ho la mia posizione, cerchiamo il compromesso. E questo implica l’abbandono di una parte della propria posizione per trovare un accordo più o meno soddisfacente. Ma più o meno soddisfacente! Nel diritto collaborativo si utilizzano i principi della negoziazione ragionata, che implica l’interesse e i bisogni di entrambi, andando a fondo delle esigenze e delle difficoltà. La missione dell’avvocato è quella di permettere al cliente di esprimere i suoi interessi alla presenza della controparte: cosa voglio, cosa è importante per me, cosa mi ha portato in questa situazione, cosa mi succede se viene presa questa decisione? Si condividono le richieste, con l’analisi dei bisogni e degli interessi reciproci anche se non sono identici. Nel diritto collaborativo si applica lo stesso approccio della mediazione. Sono gli avvocati che sono dei mediatori, che intervengono nelle mediazioni per assistere e aiutare i loro clienti. Il tratto dell’avvocato è quello di consigliare ma anche di sostenere e aiutare nella negoziazione per permettere un confronto a quattro che non sfoci nella lite.”

Pensa che la paura di certi avvocati sia legata non solo al cambiamento di paradigma ma anche a degli interessi finanziari?

“L’avvocato deve cambiare il suo ruolo, non può più monopolizzare la parola e negoziare al posto del cliente ma è presente e si impegna per permettere di trovare un accordo congiunto che sia il più equo possibile. Non lascia spazio alla sensazione di avere dovuto rinunciare a una parte determinante per il futuro. L’avvocato collaborativo è assolutamente cosciente di questo e dunque la paura consiste anche nella consapevolezza che non è facile riempire un ruolo che è molto differente da quello citato inizialmente: ovvero non essere più nel contraddittorio ma essere alla ricerca di un terreno comune sul quale edificare equilibri nuovi e diversi. Molti avvocati lo trovano interessante ma se evidentemente pensano ai loro propri interessi finanziari non è necessariamente lo stesso procedimento. L’avvocato che ha paura perché con questo approccio teme di guadagnare di meno, non si giustifica a medio e lungo termine. C’è un lungo lavoro da fare in questa direzione perché sappiamo bene come un conflitto sia distruttivo per l’intera società.

La responsabilità etica dell’avvocato deve tener conto anche delle istituzioni e della società?

L’avvocato ha una grande influenza perché chi si indirizza a lui gli chiede dei consigli. Se l’avvocato ha una certa etica consiglia utilmente il suo cliente. Ma utilmente, cosa significa? Utilmente dal punto di vista dell’avocato significa rispettare il punto di vista del suo cliente? E la domanda non deve essere forzatamente indirizzata al presupposto del confronto. Se il cliente è in questa logica l’avvocato ha il compito e il dovere etico di interrogarlo sui suoi reali bisogni e interessi. Deve farlo riflettere nel determinare con cognizione di causa, ipotizzando i diversi scenari e i diversi mezzi, come affrontare il processo davanti al giudice. Il processo ha dei costi finanziari, in termini di onorario, ma soprattutto ha dei costi umani.”

Sembrerebbe che l’avvocato non si interessi affatto ai costi umani…

“Direi che certi legali non accordano nessuna importanza alla relazione umana, ai suoi aspetti che non sono ritenuti prioritari. Molto spesso gli avvocati stessi non ne sono completamente coscienti e se lo sono lo sono da lontano e in ultima analisi non li concerne. Tendono a soffermarsi sulla relazione giuridica e sulla parte tecnica e alcuni, nella maggior parte dei casi, non danno assolutamente importanza alla relazione da individuo a individuo, alle implicazioni sociali e affettive per puntare unicamente alla relazione giuridica. L’avvocato gioca un ruolo, è preso dal gioco della giustizia e a volte non se ne rende conto, a detrimento però del suo cliente.”

Nella formazione accademica si impara di più a istigare al conflitto o a essere dei rappresentanti della legge?

“Diciamo che si viene preparati al confronto, all’argomento e al contro argomento, alla capacità di convincere, alla dialettica. L’avvocato collaborativo inserisce un’altra dimensione che rompe degli equilibri che fino a ora sono consolidati. Posso dire che a Ginevra si stanno aprendo nuove evoluzioni. Abbiamo cerato una scuola di avvocatura dove si insegna agli avvocati già formati le tecniche della negoziazione ragionata, cosa significa e come si applica la mediazione, e gli aspetti del diritto collaborativo per spiegare loro che esistono altri modi possibili per dirimere le controversie. Siamo un piccolo gruppo di avvocati che sta cercando di lanciare questo procedimento, ma dopo mesi di discussione alla fine mi sono ritrovato solo. La maggior parte degli avvocati non sono pronti a firmare un contratto di partecipazione tra le parti. Bisogna formare i giovani avvocati a questo approccio. Ci sono troppi avvocati, in genere ci si schiera tra fazioni, invece di lavorare insieme per il bene di tutti.

Note – Il divorzio collaborativo è nato in America e si sta diffondendo con una certa rilevanza ma a fatica anche in Europa. La pratica collaborativa ha avuto inizio in Svizzera nel 2004. Vi sono oltre sette soci IACP e due gruppi di lavoro in tutto il paese. Gli avvocati praticanti di diritto collaborativo in Svizzera vantano un’esperienza collettiva pluriennale in materia di divorzio, separazione e altre questioni relative al diritto di famiglia. Tutti i soci IACP condividono la convinzione profondamente radicata che la pratica collaborativa offra l’opportunità di risolvere le controversie legali in modo rispettoso e dignitoso (collaborativepractice.com/public/about/resources-for-thepublic/ collaborative-practice-groups-around-the-world/switzerland.aspx; collaborativedivorce.net/history-of-collaborative-divorce/). – In Ticino si possono trovare avvocati formati nella mediazione. Online è disponibile una lista dei mediatori in Ticino con titolo riconosciuto dalla Federazione svizzera degli avvocati: mediatori-ti.ch/cms/fileadmin/Dokumente_CMTI

NEGOZIAZIONE, ISTRUZIONI PER L’USO

Negoziazione, istruzioni per l’uso: comunicazione, tecniche e prassi, deontologia Firenze, 04 Luglio 2017 – Aula Fondazione Forense presso Tribunale di Firenze

SESSIONE MATTUTINA

Introduce e Modera

Avv. Rebecca Rigon

Co-responsabile del settore civile dell’UNCM

Ore 9.00 Accoglienza e Registrazione dei partecipanti

Ore 9.30 Indirizzi di Saluto

Avv. Sergio Paparo, Presidente Ordine Avvocati di Firenze

Avv. Rita Perchiazzi, Presidente UNCM

Avv. Maria Masi , Consigliere e coordinatore della Rete Famiglia CNF

Ore 10.00 Interventi programmati

“Risorse e criticità della negoziazione: prassi e protocolli per garantire l’efficacia e l’effettività dell’accordo” Avv. Elena Zazzeri, Presidente della Camera Minorile di Firenze, Consigliere Ordine Avvocati Firenze

“Non solo parole…: tecniche non verbali attive e passive in mediazione e conciliazione” Prof. Rodolfo de Bernart, medico psichiatra, psicoterapeuta, mediatore familiare, Direttore dell’Istituto di Terapia Familiare di Firenze

“Il ruolo e la condotta dell’avvocato nella negoziazione assistita” Avv. Maria Masi , Consigliere e coordinatore delle Rete Famiglia CNF

Ore 13.00 Chiusura dei lavori della mattina

 SESSIONE POMERIDIANA

LABORATORI TEMATICI PARALLELI

Ore 14.30 Accoglienza e registrazione dei partecipanti

Presentazione dei laboratori ed introduzione alla metodologia

Avv. Erminia Contini e Avv. Olga Anastasi

LABORATORIO TEMATICO 1

“Simulazione della procedura”

Prof. Rodolfo De Bernart, Avv. Monica Malafoglia, Avv. Olga Anastasi, Avv. Alessandra Hopps

  • la relazione con il cliente e con le parti: come presentare la negoziazione e come gestire i rapporti con il cliente e l’altro collega;
  • come affrontare gli incontri di negoziazione: simulazione di una negoziazione;

LABORATORIO TEMATICO 2

“Approfondimento della normativa e criticità”

Avv. Erminia Contini, Avv. Rebecca Rigon, Avv. Paola Lovati, Avv. Carlotta Barbetti

  • i limiti dell’autonomia privata: quale contenuto per validità, efficacia ed esecuzione dell’accordo;
  • La circolazione dell’accordo secondo Reg. 2201/2003 e l’ascolto del minore nella negoziazione assistita

Ore 17.00-17.30 Conclusioni

 COMITATO SCIENTIFICO: Avv. Rebecca Rigon, Avv. Elena Zazzeri, Avv. Erminia Contini,  Avv. Olga Anastasi.

 L’evento è in corso di accreditamento presso l’Ordine degli Avvocati di Firenze.

La partecipazione è gratuita, previa iscrizione tramite la piattaforma Sfera dell’Ordine degli Avvocati di Firenze – gli avvocati fuori foro procederanno alla previa registrazione alla piattaforma (come indicato nella pagina iniziale del sito sotto il tasto “accedi”) e poi all’iscrizione.

 

 

IL TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO SULLA NEGOZIAZIONE ASSISTITA

Sezione Settima Civile

Il Presidente,

vista la trasmissione del Pubblico Ministero dell’accordo in oggetto, raggiunto a seguito di negoziazione assistita conclusa dalle parti, ai sensi dell’art. 6 comma 2 L. n. 162/14; preso atto che il Pubblico Ministero ha rilevato che l’accordo non risulta rispondere all’interesse del figlio, maggiorenne ma non economicamente autonomo, giacchè non è previsto alcun contributo per il di lui mantenimento; premesso che alla luce della citata norma il Presidente, entro cinque giorni dalla intervenuta trasmissione, “fissa, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo”, osserva quanto segue. La legge n. 162/14, titolata Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia civile ha, come è noto, introdotto la “Procedura di negoziazione assistita” per diverse ipotesi di controversie, ed in particolare per quanto qui interessa ha introdotto detta procedura al fine di una “soluzione consensuale” per la separazione personale, la cessazione degli effetti civili o lo scioglimento del matrimonio e la modifica delle condizioni di separazione o divorzio. All’art. 6 comma 2 della legge, si prevede che “l’accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita”, qualora si sia in presenza di figli minori, maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti, “debba essere trasmesso entro il termine di dieci giorni al procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente, il quale, quando ritiene che l’accordo risponde all’interesse dei figli, lo autorizza”, mentre, nell’ipotesi in cui ritenga che l’accordo “non risponde all’interesse dei figli”, lo “trasmette , entro cinque cinque giorni, al presidente del tribunale che fissa, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo”.

Il comma in oggetto si conclude precisando che “All’accordo autorizzato si applica il comma 3”, vale a dire che esso tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che avrebbero –nel caso si fosse adito l’organo giudiziario‐ definito il procedimento, e che detto accordo deve essere trasmesso dall’avvocato (o, preferibilmente, dagli avvocati, giacchè a dispetto del tenore letterale della norma, la circolare n. 19 del 28.11.2014 del Ministero dell’Interno prevede che “L’Ufficiale dello Stato Civile dovrà ricevere da ciascuno degli avvocati l’accordo autorizzato”) in copia autenticata dallo stesso ed entro 10 giorni, all’ufficiale dello stato civile. Posto che il dettato normativo impone in termini inequivoci, nella ipotesi di mancata autorizzazione dell’accordo da parte del Pm, che quest’ultimo trasmetta detto accordo al Presidente del Tribunale il quale è tenuto a fissare “udienza di comparizione delle parti “ ed a “provvedere”, non pochi dubbi interpretativi sorgono tanto in relazione all’organo avanti al quale detta udienza deve essere fissata, quanto in riferimento alla locuzione “provvede”, sempre riferita al Presidente.

Invero detta disposizione non distingue, una volta intervenuta la trasmissione dell’accordo non autorizzato dal Pubblico ministero al Presidente, tra i diversi generi di accordo che possono essere conclusi a seguito di negoziazione assistita: vale a dire si tratti di soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio e di scioglimento del matrimonio nei casi di cui all’art. 3 primo comma numero 2) lettera b) L.n. 898/70 o ancora di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.

È ben noto che la procedura, per le diverse fattispecie, non è identica né in punto organo competente né in punto iter: mentre infatti nel caso di separazione personale consensuale è prevista la comparizione personale delle parti avanti al Presidente, diversamente nelle ipotesi di domanda congiunta di cessazione degli effetti civili del matrimonio e di scioglimento del matrimonio nonchè di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio l’udienza di comparizione è fissata davanti al Tribunale in composizione collegiale. Va peraltro precisato che, in linea astratta, l’art. 6 comma 2 L. cit. non indica espressamente l’organo avanti al quale l’udienza deve essere fissata, giacchè si afferma solo che il Presidente “fissa…la comparizione delle parti” e peraltro immediatamente dopo aggiunge che lo stesso Presidente “provvede senza ritardo”.

Tuttavia, qualora si volesse affermare che il procedimento, a seguito della mancata autorizzazione del Pubblico ministero, venga per così dire “giurisdizionalizzato” di per sé id est si “tramuti” in un normale procedimento di separazione consensuale o ricorso congiunto per cessazione degli effetti civili o scioglimento del matrimonio, o ancora ricorso congiunto per la modifica delle condizioni di separazione o divorzio‐ non si vede comunque come potrebbe ottenersi una pronuncia –decreto di omologa, sentenza di cessazione degli effetti civili o scioglimento del matrimonio o ancora decreto ex art. 710 codice procedura civile ‐ laddove nessuna domanda sia stata formulata dalle parti, che avevano invece intrapreso la via della negoziazione assistita e concluso un accordo.

In altre parole, l’emissione di uno qualsiasi dei sopra citati provvedimenti risulterebbe resa in palese violazione anzitutto del generale “principio della domanda” ex artt. 99 CPC nonché della “corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato” ex art. 112 cpc, ed ancora, con particolare riferimento alle specifiche fattispecie, del tenore degli artt. 711 e 710 CPC, nonché 4 comma 16 e 9

Legge 898/70, per i quali, evidentemente e nel rispetto di tali principi, sono previsti un atto introduttivo e l’impulso di parte. Se, al contrario, si ritenesse che la via della negoziazione assistita sia una fattispecie di nuova creazione “integralmente” alternativa al procedimento giurisdizionale, per le menzionate ragioni di assoluta incompatibilità con i principi processuali indicati, dovrebbe affermarsi che, essendo la via dell’autorizzazione dell’accordo (in aderenza all’ultimo periodo dell’art. 6 comma 2 Legge cita: “all’accordo autorizzato si applica il comma 3”) la sola percorribile, il significato da attribuirsi a quel “provvede” sia quello in base al quale il Presidente, convocate le parti, inviti le stessa ad adeguarsi ai rilievi del Pubblico Ministero, e, nel caso di disponibilità in tal senso, autorizzi egli stesso.

Siffatta interpretazione è corroborata dal dato letterale, in quanto la locuzione “provvede” è di ampia portata, e dal rilievo che il Pubblico Ministero ha già formulato il proprio parere sul punto – ritenendo “non autorizzabile” l’accordo per specifiche ragioni da egli stesso indicate, ovviando alle quali l’accordo deve ritenersi , al contrario, autorizzabile.

Qualora peraltro le parti o non intendano aderire pienamente ai rilievi del Pubblico Ministero, o, in conseguenza di detti rilievi, intendano apportare modifiche importanti alle condizioni dell’accordo, è da chiedersi quali conseguenze debbano trarsi, e quale sia la soluzione più consona e ragionevole.

Anzitutto, pare ovvio ritenere che laddove le parti meramente non intendano adeguarsi ai citati rilievi, il Presidente debba limitarsi ad un “non autorizza”, giacchè come detto nessuna “conversione” in altro genere di procedimento risulta ammissibile.

Diversa è l’ipotesi in cui le parti, proprio a seguito di detti rilievi, manifestino la volontà di modificare significativamente l’accordo raggiunto: sostenere, che, se dette modifiche ulteriori e rilevanti appaiano corrette al Presidente, questi possa procedere de plano all’autorizzazione non sembra un’interpretazione corretta.

Invero, su detto “nuovo accordo” modificato in sede di udienza presidenziale difetterà il parere del Pubblico Ministero, e ciò appare in contrasto tanto con la normativa generale ‐ che prevede l’intervento del PM anteriormente al decreto di omologa, o alla sentenza di divorzio congiunto, o ai decreti di modifica ex art. 710 cpc o ex art. 9 L. div, sulle condizioni già esaminate dall’organo giudicante ‐ quanto con la nuova normativa ex DL n. 132/14 convertito con modificazioni dalla L. n. 162/14, che, indubitabilmente vede, quali protagonisti principali della negoziazione assistita e dell’accordo, i legali delle parti ed il Pubblico Ministero.

Pare, per contro, soluzione eccessiva e troppo macchinosa – seppur in astratto aderente all’impostazione del nuovo istituto, che vede il PM quale soggetto “autorizzante”‐ ritenere che l’accordo modificato in maniera significativa in sede di udienza presidenziale debba tornare al Pubblico Ministero per una nuova autorizzazione: il rischio del dilatarsi della tempistica con conseguente svuotamento dei fini cui mira l’istituto di nuova creazione impone la necessità di individuare una diversa soluzione.

Dunque una diversa via, che questo Presidente ritiene utilizzabile, nel rispetto del principio di economia processuale – ratio sottostante, in senso lato, l’emanazione della nuova normativa ‐ è quella secondo cui, trasmesso l’accordo (non autorizzato) dal Procuratore della Repubblica, il Presidente fissi udienza, consentendo peraltro alle parti – qualora ritengano di non aderire pienamente ai rilievi effettuati dal PM unitamente al rigetto della autorizzazione o, in conseguenza di essi, intendano apportare significative modifiche alle clausole dell’accordo ‐ di depositare in tempo utile ricorso per separazione consensuale ovvero ricorso congiunto per la cessazione degli effetti civili o lo scioglimento del matrimonio, o ancora per la modifica delle condizioni di separazione o divorzio.

Così procedendo, qualora le parti non depositino alcun ricorso e, comparendo avanti al Presidente, dichiarino di aderire pienamente ai rilievi effettuati dal Pubblico Ministero, l’accordo potrà esser autorizzato dal Presidente (di conseguenza restando nell’alveo della “degiurisdizionalizzazione” di cui alla Legge n. 162/14): la locuzione “provvede” è infatti, come detto, di ampia portata onde consente una interpretazione siffatta e, d’altronde, su detto accordo il Pubblico Ministero ha espresso il proprio parere, individuando in precisi elementi le ragioni ostative alla autorizzazione.

Qualora invece le parti depositino un ricorso ex art. 711 CPC, ovvero ex art. 4 comma 16 L. div. o ancora ex art. 710 CPC, l’ “accordo” raggiunto a seguito di negoziazione assistita dovrà intendersi implicitamente rinunciato (vale a dire che nessuno comparirà all’ udienza, ovvero, alla stessa, le parti dichiareranno di rinunziarvi espressamente) e il relativo fascicolo sarà archiviato a seguito di una pronuncia di “non luogo a provvedere”, mentre un nuovo procedimento, “giurisdizionale”, con le relative domande e regolarmente iscritto al ruolo con nuovo fascicolo consentirà o la fissazione di udienza davanti al Collegio se si tratti di divorzio o procedimento ex art. 710 CPC o art. 9 L. div. ‐ con successiva emissione di una pronuncia da parte di detto organo giudicante ovvero, qualora si tratti di ricorso per separazione personale, che, all’udienza fissata avanti al Presidente ex art. 6 DL n. 132/14 convertito con modificazioni dalla L. n. 162/14, si proceda tanto alla archiviazione dell’accordo quanto, allo svolgimento di udienza ex art. 711 CPC che verrà fissata alla stessa data e stessa ora sulla base del ricorso già presentato .

In tali ipotesi, come corretto, verrà seguita la normale procedura e richiesto il parere obbligatorio del Pubblico Ministero. Infine, evidentemente, qualora le parti non compaiano pur non depositando alcun ricorso, la procedura di negoziazione assistita dovrà intendersi ancora implicitamente rinunciata e dovrà essere archiviata con pronuncia di non luogo a provvedere.

Detta interpretazione della nuova normativa, che si traduce quindi nella fissazione di udienza avanti al Presidente con invito alle parti, qualora non ritengano di aderire pienamente ai rilievi effettuati dal Pubblico Ministero, ma intendano procedere –magari proprio in conseguenza a detti rilievi ‐ ad ulteriori modifiche delle condizioni contenute nell’accordo, a depositare ricorso ad hoc –con esplicita od implicita rinuncia alla via della negoziazione assistita ‐ appare soluzione rispettosa tanto del principio di economia processuale ‐ in senso ampio, id est anche affinchè non venga del tutto vanificata l’opera prestata dai legali sino a quel momento per una soluzione rapida e consensuale della crisi familiare ‐ quanto dei principi vigenti in materia processuale (e, ad oggi, nel settore del diritto di famiglia) che impongono sia la necessità di una domanda delle parti per l’emissione di qualsivoglia provvedimento da parte dell’organo giudicante, sia che il Pubblico Ministero esprima sempre il proprio parere sulle condizioni che regoleranno i rapporti tra le parti, massime qualora dette condizioni riguardino figli minori, maggiorenni non economicamente autonomi o portatori di handicap. Nel caso di specie, pertanto, che concerne un accordo raggiunto a seguito di negoziazione assistita in riferimento a separazione personale dei coniugi, si provvede di conseguenza in dispositivo.

PQM

Il Presidente, FISSA udienza avanti sé ex art. art. 6 DL n. 132/14 convertito con modificazioni dalla L. n. 162/14, all’ 11 febbraio 2015 ore 12, INVITA le parti ed i rispettivi legali, qualora non aderiscano in toto ai rilievi effettuati dal Pubblico Ministero in riferimento all’accordo raggiunto a seguito di negoziazione assistita, a depositare, nei 10 giorni prima della udienza, ricorso sottoscritto da entrambe le parti ai sensi dell’art. 711 CPC. Torino, 15 gennaio 2015

Il Presidente Michela Tamagnone

LA PRATICA COLLABORATIVA CONTEMPLATA ANCHE ALL’OCF DI MILANO

La pratica Collaborativa contemplata anche nel regolamento dell’Organismo di Conciliazione Forense di Milano (OCF) per le controversie familiari.

ART. 6 La Pratica Collaborativa è un metodo alternativo di risoluzione delle controversie famigliari, che prevede la partecipazione attiva di entrambe le parti, ciascuna assistita da un proprio avvocato, e di eventuali altri professionisti (commercialisti, psicologi, mediatori). Tutti i professionisti che partecipano alla pratica collaborativa devono aver ricevuto una formazione specifica, secondo gli standard stabiliti dall’organizzazione internazionale IACP (International Academy of Collaborative Professionals), che riunisce tutti i professionisti collaborativi.

L’Organismo fornirà alle parti che ad esso si rivolgono tutte le informazioni necessarie perconoscere la pratica collaborativa, consegnando a chi ne facesse richiesta anche del materiale descrittivo e i nominativi degli avvocati formati alla pratica collaborativa stessa.

Presso gli spazi dell’Organismo sarà inoltre possibile svolgere sia un primo colloquio conoscitivo con un avvocato formato alla pratica collaborativa sia, qualora le parti e i rispettivi avvocati ne facciano congiuntamente richiesta, l’intero percorso. In quest’ultimo caso, saranno dovute all’Organismo le spese di avvio previste all’art. 7, mentre le parti concorderanno con gli avvocati incaricati il compenso per l’attività dagli stessi prestata.

 

VADEMECUM SULLA NEGOZIAZIONE (estratto)

VADEMECUM SULLA NEGOZIAZIONE OSSERVATORIO SULLA GIUSTIZIA CIVILE DI MILANO […estratto] Focus di negoziazione in materia di famiglia, a cura di Debora Ravenna GMN Milano.

3.10.1. La negoziazione assistita e la pratica collaborativa nel diritto di famiglia.

I coniugi possono scegliere la procedura di negoziazione assistita – da almeno un avvocato per parte- al fine di raggiungere una soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio nei casi di cui all’art. 3, 1^ comma, n. 2), lett b), della L. n. 898/1970, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. Si segnala l’ordinanza in data 25 marzo 2016 del Procuratore della Repubblica Agg. (Bernardo Petralia) di Palermo che ha dichiarato inammissibile la richiesta di autorizzazione perché uno dei coniugi era avvocato e si difendeva in proprio. Il P.M. ha stabilito che entrambe le parti devono essere assistite da un avvocato ed ha indicato esaustivamente i motivi per cui nella procedura di negoziazione assistita in materia di famiglia non è possibile l’assistenza in proprio ai sensi dell’art. 86 c.p.c.

L’accordo raggiunto dalle parti con l’assistenza dei propri avvocati produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di separazione personale, di divorzio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. Gli avvocati certificano l’autografia delle firme e devono trasmettere all’ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia autentica dell’accordo munito delle certificazioni di cui all’art 69, c 1, lett. D-bis) del DPR 396/2000. In caso di violazione è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria. L’accordo tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di separazione personale, di divorzio e di modifica delle relative condizioni. È talmente innovativa e importante tale procedura che è stata definita “giurisdizione forense”.

La procedura si articola in queste fasi:

INFORMATIVA

INVITO

CONVENZIONE DI NEGOZIAZIONE

NEGOZIAZIONE/TRATTATIVA

ACCORDO/VERBALE DI MANCATO ACCORDO

INFORMATIVA È dovere deontologico degli avvocati informare il cliente all’atto del conferimento dell’incarico della possibilità di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita e, nelle materie che riguardano i rapporti di famiglia, della possibilità di esperire la mediazione familiare; inoltre gli avvocati devono informare le parti dell’importanza per i minori di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori.

INVITO Nella materia della famiglia non è espressamente previsto l’invito all’altra parte a stipulare una convenzione di negoziazione assistita, previsto invece, dall’art. 3 DL n. 132/2014, per le materie per le quali la negoziazione è condizione di procedibilità.

CONVENZIONE DI NEGOZIAZIONE Requisiti:

-forma scritta – il termine concordato dalle parti per l’espletamento della procedura (non inferiore ad un mese e non superiore a tre mesi, prorogabile per ulteriori trenta giorni su accordo tra le parti); – l’oggetto della controversia, – l’indicazione dei legali e del mandato – firma delle parti autenticata dagli avvocati – impegno alla riservatezza

Requisiti ulteriori: – metodologia, ad es. invio in mediazione per risolvere parte dei problemi, utilizzo della “pratica collaborativa” se entrambi i legali sono formati, collaborazione con altri professionisti (commercialista, tributarista…) – calendario degli incontri e degli argomenti da trattare – modalità di esibizione/scambio della documentazione

NEGOZIAZIONE La legge prevede che gli avvocati tentino di conciliare le parti, se non vi riescono avviano la negoziazione vera e propria. Diventano protagoniste le parti che, assistite dai propri avvocati, negoziano i termini dell’accordo, in particolare individuano le condizioni che poi verranno trasfuse nell’accordo. Se non raggiungono un risultato positivo, gli avvocati stilano un verbale di mancato accordo.

L’ACCORDO/VERBALE NEGATIVO L’accordo raggiunto a seguito di negoziazione assistita produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di separazione/divorzio modifica delle condizioni.

Contenuto: – esplicitare che gli avvocati hanno tentato di conciliare le parti, le hanno informate della possibilità di esperire la mediazione familiare e dell’importanza per i minori di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori; – inserire tutte le condizioni della separazione/divorzio/modifica, ad es: indicare il tipo di affidamento ed il collocamento dei figli (se minori o con handicap) e l’assegnazione dell’abitazione coniugale e dei beni in essa contenuti, nonché regolamentare l’uso di eventuali altri beni immobili (seconde case) e mobili (autovetture/barche…); – indicare i tempi di frequentazione dei figli con il genitore non collocatario; – an e quantum del mantenimento (assegno e spese straordinarie) per il coniuge e per i figli; – sottoscrizione delle parti, autenticazione degli avvocati; – dichiarazione degli avvocati che l’accordo non viola diritti indisponibili e non è contrario a norme di ordine pubblico (art. 5 l. 162/2014).

L’accordo e la documentazione richiesta va trasmessa al Pubblico ministero entro dieci giorni dalla firma per il «nulla osta» se non ci sono figli (controllo solo formale), in presenza di figli l’accordo raggiunto deve essere trasmesso entro dieci giorni al procuratore della repubblica che, quando ritiene che l’accordo risponde all’interesse dei figli lo autorizza. In caso contrario lo trasmette, entro cinque giorni, al presidente del Tribunale che fissa, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo. Per la procedura di negoziazione assistita, a differenza della pratica collaborativa, non è richiesta una specifica formazione per gli avvocati. Questo è un punto critico perché in una materia delicata e complessa come il diritto di famiglia, è assolutamente necessario che la negoziazione sia gestita da professionisti specializzati.

Un accenno alla pratica collaborativa

La pratica collaborativa ha origine negli Stati Uniti, nel 1990, su iniziativa dell’avvocato Stuart G. Webb, che ha creato un metodo per la soluzione delle controversie basato sulla possibilità che gli avvocati risolvano i conflitti in maniera creativa e partecipativa. Si è poi estesa al Canada, all’Europa e, dal 2010, all’Italia. Si tratta di un processo di negoziazione stragiudiziale che coinvolge le parti in maniera diretta nelle trattative, assistite dagli avvocati ed eventualmente da altri professionisti (esperto dell’infanzia, facilitatore, commercialista, consulente del lavoro) con la finalità di trovare un accordo.

Tutti i componenti del team devono essere formati alla pratica collaborativa, perché adottano la stessa metodologia di lavoro, ogni riunione si svolge alla presenza delle parti e dei rispettivi professionisti, ogni aspetto viene trattato congiuntamente, in trasparenza e collaborazione, viene sottoscritto un impegno alla riservatezza; se le parti non forniscono informazioni complete e sincere viene interrotta la procedura. Non è una procedura adatta a tutti i casi, in particolare, perché si possa utilizzare i coniugi non devono essere affetti da problemi di salute mentale o essere dipendenti da sostanze, né devono esservi state nella coppia violenza fisica o abuso emotivo.

La lettera di incarico costituisce un vero e proprio contratto in cui vengono specificate le tappe del procedimento, le norme comportamentali, la possibilità di interrompere in qualsiasi momento la procedura, la quantificazione degli onorari dovuti al legale. Nel caso in cui la pratica collaborativa non dovesse avere esito positivo gli avvocati che hanno partecipato alla procedura devono rinunciare al mandato e non possono assistere i clienti nell’eventuale successivo giudizio contenzioso.

Un volta raggiunto l’accordo viene trasfuso in un ricorso congiunto che viene depositato avanti il Tribunale e segue la normale prassi procedurale. Con l’entrata in vigore della legge del 10 novembre 2014, n. 162 le parti possono strutturare il procedimento collaborativo come negoziazione assistita, in questo caso nella convenzione dovranno richiamare i principi della pratica collaborativa ed entrambi i legali dovranno essere formati. L’accordo raggiunto produrrà gli effetti e terrà luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1 art. 6 legge162/2014, i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.

 

SEPARAZIONE CONSENSUALE E NEGOZIAZIONE ASSISTITA (segue)

Gli avvocati devono certificare l’autenticità delle firme e la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico. Se in virtù dell’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti soggetti a trascrizione, previsti dall’art. 2643 del Codice civile, la sottoscrizione del processo verbale di accordo deve essere autenticata da un pubblico ufficiale per procedere all’adempimento presso i pubblici registri. Nel caso di mancato rispetto delle pattuizioni e di necessità di ricorrere al processo esecutivo l’accordo deve essere integralmente trascritto nel precetto ai sensi dell’articolo 480, secondo comma, del codice di procedura civile. L’art. 6 del Decreto Legge n. 134 regola la convenzione di negoziazione assistita da uno o piú avvocati con la quale i coniugi possono raggiungere una soluzione consensuale di separazione, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio. Nel testo del decreto legge erano escluse le separazioni e i divorzi di coppie con figli minorenni. Nella Legge di conversione n. 162 del 10 novembre 2014 si è allargato il raggio di applicabilità e, in accoglimento di emendamenti proposti dalle associazioni specialistiche, si è tenuto conto dell’obbligatorietà della presenza del Pubblico Ministero nella materia matrimoniale e nelle cause che coinvolgono figli minorenni.

Pertanto in mancanza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero economicamente non autosufficienti, l’accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita è trasmesso al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente il quale, quando non ravvisa irregolarità, comunica agli avvocati il nulla osta per gli adempimenti ai sensi del comma 3. In presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero economicamente non autosufficienti, l’accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita deve essere trasmesso entro il termine di dieci giorni al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente, il quale, quando ritiene che l’accordo risponde all’interesse dei figli, lo autorizza. Quando ritiene che l’accordo non risponde all’interesse dei figli, il procuratore della Repubblica lo trasmette, entro cinque giorni, al presidente del tribunale, che fissa, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo. Tale disciplina costituisce un importante passo avanti verso la diffusione della filosofia Collaborativa; per l’affermazione di una giustizia child friendly e rispettosa dei diritti delle persone e delle relazioni familiari sarà tuttavia fondamentale che nel prosieguo si affermino in materia i requisiti della specializzazione dei professionisti e della multidisciplinarietà nel processo di negoziazione, aspetti entrambi trascurati nel testo approvato.

L’accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono i processi di separazione, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento, di modifica delle condizioni di separazione o divorzio. Nell’accordo si dà atto che gli avvocati hanno tentato di conciliare le parti, le hanno informate della possibilità di esperire la mediazione familiare (il tentativo di conciliazione è infatti obbligatorio nell’ordinario procedimento giudiziale) e dell’importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori. L’avvocato della parte è obbligato a trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all’Ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu trascritto, copia dell’accordo autenticata dallo stesso. All’avvocato che viola questo obbligo è applicabile una grave sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.000 a euro 10.000. La Legge n. 162 introduce inoltre una procedura di richiesta congiunta per separazione consensuale, cessazione degli effetti civili del matrimonio o modifica delle condizioni che, nella ratio, vuole ulteriormente alleggerire il carico della giurisdizione, demandando al Sindaco la ratificazione di un accordo tra le parti (art. 12). La sostanziale sottrazione all’Avvocatura del precipuo compito di tutela dell’interesse pubblico al corretto esercizio della giurisdizione che si attua per effetto di questa norma rende auspicabile che la sua non applicabilità a coppie con figli minori, figli maggiorenni incapaci, figli maggiorenni economicamente non autosufficienti, figli maggiorenni portatori di handicap grave, insieme al divieto che l’accordo contenga patti di trasferimento patrimoniale, ne limitino di fatto la capillarizzazione.

La definizione diffusa di “divorzio facile” attribuita a tale procedura, infatti, nella quale il ricorso all’ausilio degli avvocati è solo facoltativo, trascura i delicati aspetti emotivi e giuridici che le coppie, da sole, non sono sempre in grado di considerare, espone il coniuge più debole alle manipolazioni del più forte, e aumenta il rischio di accordi frettolosi suscettibili di generare un contenzioso superiore a quello che si intende evitare.

L’ufficiale dello stato civile riceve da ciascuna delle parti personalmente la dichiarazione di volontà, l’atto contenente l’accordo è compilato e sottoscritto immediatamente dopo la ricezione delle dichiarazioni da parte dei coniugi e ha identico valore ed efficacia dei provvedimenti giudiziali che definiscono le cause di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili del matrimonio o modifica. Nei soli casi di separazione personale, ovvero di cessazione degli effetti civili del matrimonio o di scioglimento del matrimonio secondo condizioni concordate, l’ufficiale dello stato civile, quando riceve le dichiarazioni dei coniugi, li invita a comparire di fronte a sé non prima di trenta giorni dalla ricezione per la conferma dell’accordo anche ai fini degli adempimenti di cui al comma 5. La mancata comparizione equivale a mancata conferma dell’accordo.

cfr. Decreto Legge n. 132 del 12 settembre 2014 convertito con modificazioni dalla Legge n. 162 del 10.11.2014

http://www.consiglionazionaleforense.it/documents/20182/200991/D.L.+n.+132-2014

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