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LINEE GUIDA PER I GENITORI di Alessandra Hopps
Prima di agire, pensate al benessere emotivo e mentale, presente e futuro dei vostri figli, piuttosto che ai vostri bisogni e ai vostri sentimenti.
Cercate di mantenere quanto più possibile la padronanza di voi stessi e l’equilibrio: ciò che mostrate ai vostri figli, in qualche modo condiziona il loro comportamento.
Concedete a voi stessi e ai vostri figli il tempo necessario per metabolizzare la crisi.
Ricordate i momenti felici del vostro matrimonio e condivideteli con i vostri figli.
Rassicurate i vostri figli, in merito al fatto che non sono loro la causa della separazione e che non saranno né rifiutati né abbandonati, facendo presente che altri bambini vivono l’esperienza dei genitori separati, ma sono sereni.
Continuare a mostrare rabbia e rancore verso il coniuge può ferire i figli più della stessa separazione.
Astenetevi dal criticare l’altro genitore.
Non chiedete ai figli di schierarsi.
Non coinvolgete i figli in discussioni aventi ad oggetto difficoltà economiche.
Cercate di spiegare in maniera chiara ai vostri figli cosa sta accadendo e per quale ragione, senza tacere nulla, ma utilizzando un linguaggio a loro comprensibile.
Evitate che il senso di colpa per la fine del matrimonio abbia come risvolto un eccesso di lassismo nel sistema educativo nei confronti dei figli.
Rendetevi conto che siete umani e che non potrete essere il genitore perfetto.
Tenete a mente la necessità di proteggere i figli dall’impatto negativo del conflitto fra i genitori: se necessario, troncate le conversazioni, anche telefoniche, che possano degenerare
Rileggete più volte questi suggerimenti e aggiungete le vostre idee costruttive rispetto a come approcciare questa difficile fase della vostra vita.
Siate consci del fatto che la separazione, sebbene sia tra gli stress emotivi maggiori della nostra vita, offre anche una grande opportunità di crescita a chi è in grado di vivere il cambiamento in maniera consapevole.
Alessandra Hopps è avvocato collaborativo, segretario della Camera Minorile Picena, aderente all’Unione Nazionale Camere Minorili, nonché segretario del Gruppo di Pratica Italiano di Pratica Collaborativa, associato all’International Academy of Collaborative Professionals, esercita presso il foro di Ascoli Piceno.
alhopps@libero.it
SIAMO UNA RETE
Il movimento collaborativo e le associazioni specialistiche italiane
La progressiva diffusione del diritto collaborativo negli Stati Uniti, in Europa e Australia, ha determinato la costituzione di una comunità internazionale, la International Academy of the Collaborative Professionals – IACP (https://www.collaborativepractice.com) che ha sede a Phoenix, Arizona, e a cui aderiscono i professionisti Collaborativi, per condividere codici di comportamento, formazione specifica e standard etici, nonché per diffondere la cultura Collaborativa.
Composta da più di cinquemila soci in tutto il mondo, ne conta ormai oltre trecento solo in Italia, dove, dal 2009 in poi si sono costituite l’Associazione Italiana Professionisti Collaborativi (https://praticacollaborativa.it), l’Istituto Italiano di Diritto Collaborativo e Negoziazione Assistita (http://www.dirittocollaborativo.eu), il Gruppo Italiano di Pratica Collaborativa già Gruppo di Pratica Collaborativa Ronald D. Ousky (http://www.dirittocollaborativo.it).
Il Metodo Collaborativo comporta la risoluzione non giudiziale delle controversie familiari e assiste le coppie nel gestire la separazione o il divorzio in modo civile e rispettoso, senza necessità di adire il tribunale con la procedura contenziosa, con lo specifico scopo di preservare i figli dall’animosità e dal conflitto. Da molti liquidato come una versione americana della mediazione, ancora fino a pochi anni fa ritenuto scarsamente applicabile in Italia per le differenze tra ordinamenti di Civil law e di Common law, ha invece visto crescere costantemente nel tempo il numero di professionisti che hanno acquisito la formazione per esercitarlo.
Rientra nella categoria di Alternative Dispute Resolution (ADR) insieme a mediazione, arbitrato, negoziazione e conciliazione, diffusi soprattutto nei paesi di common law, come istituti stragiudiziali che nella ricerca di una soluzione al caso concreto non si basano sulla contrapposizione tra i soggetti bensì su una loro collaborazione.
QUESTA È LA STORIA DI UNO DI NOI
È lunedì, si riapre l’agenda, l’orario della settimana delinea l’andamento di ciò che sarà.
Visualizzo mentalmente gli appuntamenti su cui concentrarmi e capisco che per spiegare a tutti, come voglio, in quale direzione camminare, devo raccontarvi un po’ di storia della strada già percorsa.
<<Il diritto collaborativo nasce da un’intuizione di Stuart G. Webb, avvocato matrimonialista che a Minneapolis nel Minnesota, alla fine degli anni Ottanta, dopo oltre vent’anni di professione, aveva constatato gli effetti nefasti di avvicinarsi ai conflitti familiari con il metodo contenzioso e con gli strumenti giudiziari abituali, che conducono al processo una patologia ormai conclamata della vicenda affettiva. Aveva verificato personalmente il rischio di essere assorbiti dal conflitto, la tendenza a riflettervi le proprie emozioni e reazioni, la difficoltà a rimanere distaccati, la propensione spontanea ad alimentare le ostilità suggerendo strategie sempre più invasive, tipiche di processi lunghi e combattivi. Aveva utilizzato nel corso del tempo gli strumenti giuridici a disposizione adatti a mettere in difficoltà le controparti, finché si rese conto che tenere il conflitto dei coniugi lontano da un’aula di tribunale, riservare gli aspetti emotivi della relazione di coppia a esperti di altre discipline, distinguere tra avvocati della “negoziazione” e avvocati della “causa” erano elementi essenziali affinché la coppia riuscisse a raggiungere un accordo durevole>>.*
Mentre viveva una profonda crisi professionale e pensava di iscriversi alla facoltà di psicologia, decise di scrivere una lunga lettera a Sandy Keith, un giudice che si occupava di mediazione. Era il 14 febbraio 1990: in quella lettera, spiegando nel dettaglio la sua idea, Stu Webb aveva già tratteggiato tutte le caratteristiche vincenti del metodo collaborativo.
*tratto da O. Anastasi, Il Divorzio Collaborativo, Ascoli Piceno, 2014 @ Riproduzione riservata
https://www.amazon.it/divorzio-collaborativo-Larte-separarsi-amore-ebook/dp/B00UTCNIBM
OGGI VE NE DICO QUATTRO
Nel processo collaborativo non ci sono udienze a cui assistere né aule di tribunale da frequentare. Gli appuntamenti si svolgono nell’atmosfera rassicurante dello studio del proprio avvocato di fiducia. Una volta che avrai scelto di aderire a questa metodologia, e tuo marito o tua moglie si saranno dichiarati d’accordo, le sessioni continueranno a tenersi al di fuori del tribunale.
La forza del metodo collaborativo si basa sugli incontri a quattro (four way meetings). La prima volta che rivedrai tuo marito o tua moglie davanti ai vostri avvocati, per parlare della separazione, potrà essere molto impegnativo. Capiterà di non riuscire a trattenere rabbia e dolore, di desiderare di piangere e urlarsi contro rancore e offese. Non si sarà sottoposti a giudizio per questo, gli incontri a quattro servono proprio a costruire empatia e ascolto; superati i momenti di tensione, i professionisti che avete scelto vi condurranno a scambiarvi un impegno reciproco a trovare soluzione ai vostri problemi senza andare in causa.
Un solo incontro non sarà sufficiente, avrete questioni più semplici o urgenti, altre più complesse e che andranno studiate affinché siano condivisibili e a lunga tenuta.
Prepariamoci a dircene quattro, allora, con lo stato d’animo di chi sa che, superata la fase critica, dolore e rabbia si trasformeranno, noi saremo più forti. STAY TUNED.
TEMPORA TEMPORE TEMPERA
Sembra uno scioglilingua, è solo una locuzione latina che invita ad aspettare il momento opportuno. La crisi coniugale vede la coppia arroccata su posizioni antitetiche; di solito uno dei coniugi vuole definire il divorzio in tempi rapidi, mentre l’altro ha difficoltà ad accettare la fine del matrimonio. Chi decide di separarsi (leaver) ha già attraversato e superato la fase dolorosa della scelta, conscio della fine del matrimonio, e desidera concluderne il processo. Chi subisce la decisione (left) è invece preso da sentimenti di rabbia, rifiuto, abbandono, spera in una riconciliazione, teme il futuro, perciò rifiuta o vorrebbe procrastinare il divorzio.
L’avvocato collaborativo non accelera i passaggi, riconosce che esistono i tempi del cosiddetto divorzio psicologico e di quello legale, spiega al “leaver” che occorre rallentare per consentire al “left” di elaborare il proprio stato emotivo. Comprendere i tempi del divorzio psicologico riduce i rischi di abbandono della trattativa. Per firmare un accordo duraturo è necessario che entrambi i coniugi abbiano raggiunto un paritetico livello di consapevolezza, quando il conflitto si è affievolito, quando entrambi hanno maturato l’accettazione della fine del matrimonio, quando si riesce a delineare una condivisione di soluzioni. Se la coppia ha figli, quando entrambi i genitori avranno compreso che, finito il matrimonio, si resta famiglia.
PER MOLTI MA NON PER TUTTI
Il divorzio collaborativo non è adatto a tutti.
Poniti le domande giuste. Se nella tua coppia si sono verificati abusi, maltrattamenti, fenomeni di dipendenza, se c’è resistenza ad ammetterlo, se ci sono situazioni di squilibrio e tu o tua/tuo moglie/marito non siete in grado di instaurare un rapporto corretto, separarsi con il metodo collaborativo non fa per te.
Chiediti se l’impatto del divorzio sulla tua vita può dipendere dalle scelte che farai.
Chiediti se, pur di risolvere i problemi più importanti, sei disposto a fare ogni sforzo possibile per non creare conflitti su questioni banali.
Chiediti se ti senti in grado di controllare la tua emotività pur di trovare la migliore soluzione possibile.
Chiediti se hai paura o se ti senti intimorito/a da tua moglie/tuo marito.
Chiediti se sei disposto a osservare la realtà dal punto di vista di tua moglie/tuo marito.
Chiediti se pensi di poterti fidare ancora di tua moglie/tuo marito.
Chiediti se vuoi impegnarti a risolvere i problemi con il metodo collaborativo, cercando di trovare interessi comuni, senza difendere solo i tuoi.
Chiediti se ti piacerebbe mantenere una relazione civile con il/la tuo/tua ex.
Chiediti se accetti l’idea che divorziare sia inevitabile.
Chiediti se vuoi che i tuoi figli comprendano questa tua volontà e che mantengano un rapporto saldo e continuativo con entrambi i genitori.
«CHE GIOVA ALL’UOMO GUADAGNARE IL MONDO INTERO SE POI PERDE LA SUA ANIMA?»
Il quesito che Dio fa risuonare in ogni cuore cristiano accompagnò l’introduzione della legge sul divorzio scuotendo le coscienze di cattolici e laici all’inizio degli anni Settanta. A distanza di quasi cinquanta anni separazioni e divorzi sono considerati eventi personali non meno dolorosi di allora, ne è cambiato tuttavia l’impatto sociale.
Maggiore è l’attenzione agli aspetti che coinvolgono i figli, più frequente la richiesta di evitare lunghi e costosi processi. Il divorzio non è più un tabù, non distrugge la famiglia, esistono modi per affrontarlo che aiutano la coppia a viverlo consapevolmente, senza disagi per i figli.
La legge sulla negoziazione assistita, introdotta nel 2014, pone l’Italia in una posizione all’avanguardia perché permette di separarsi, divorziare o modificare le condizioni senza andare in tribunale. Se in questo schema normativo utilizziamo il metodo Collaborativo, ne trarremo la massima efficacia.
La logica avversariale della competizione è estranea al pensiero Collaborativo.
Il linguaggio e le condotte delle parti sono mirate a creare un clima di serenità, fiducia e cooperazione. I coniugi vengono assistiti dai rispettivi avvocati, eventualmente da altri specialisti, con l’obiettivo di raggiungere un accordo che potenzi la relazione genitoriale, garantisca assistenza ai figli e favorisca l’instaurarsi di nuovi equilibri familiari.
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