Olga

Articoli nella categoria Arte e diritto, psicosociale

RELATIONAL PRACTICES VIRTUAL SUMMIT – DAL 4 AL 9 SETTEMBRE 2018

Il programma della conferenza virtuale sulle pratiche relazionali dell’AMERICAN BAR ASSOCIATION è online. Sono tra i ventisei relatori che dal 4 al 7 settembre esporranno il proprio pensiero su come gli avvocati e i professionisti esperti di relazioni possono acquisire nuove abilità esprimendo al meglio la propria umanità.

Il titolo del mio intervento è “JUSTICE AND BEAUTY, THE BIG PICTURE OF ART AND LAW.”

C’è bisogno di un mondo migliore #cominciamoadesso#facciamolotutti #iscrivetevi

https://shop.americanbar.org/ebus/ABAEventsCalendar/EventDetails.aspx?productId=332145707&term=relational+practice+virtual+summit

PRATICA COLLABORATIVA E BOTTEGA DEL TERZO SETTORE (VIDEO)

Buongiorno, sono Olga Anastasi, socio fondatore e membro del consiglio direttivo del Gruppo Italiano di Pratica Collaborativa. L’Associazione, che non ha scopo di lucro, è costituita da avvocati negoziatori, mediatori, esperti finanziari, psicologi e terapeuti che si propongono di promuovere e diffondere la cultura della Pratica Collaborativa quale processo alternativo di risoluzione dei conflitti in ogni campo del diritto, con particolare riguardo ai conflitti familiari.

Il Gruppo opera organizzando l’approfondimento di questo metodo mediante gruppi di lavoro su base regionale o locale, al fine di favorire confronto e scambio di esperienze ed elaborazione di prassi condivise, organizzare incontri nazionali e internazionali, seminari, giornate di studio, conferenze, corsi di formazione di aggiornamento specialistico.

Siamo promotori di utilità e pace sociale e lavoriamo per l’associazione con azioni volontarie e gratuite, in interdisciplinarietà.

Troviamo in Bottega del Terzo Settore e nei suoi spazi la naturale collocazione per le nostre attività perché crediamo che attraverso lo sviluppo del no profit possiamo potenziare la rete di cui disponiamo e costruire più agevolmente il modello di benessere e di risposta ai bisogni sociali cui auspichiamo.

Grazie.

https://www.facebook.com/BottegadelTerzoSettore/videos/886743014847173/?hc_ref=ARSnxxsh5TulYa9LpBSw4P97Yv0Pn7Gv10DTjm6v5EjhOIwa4gmeXJ6D14PJQAEiVIc

 

GET YOUR PERSONAL DIVORCE MODEL CANVAS

You are living a divorce, you feel that you should improve your role in your family, you don’t know what to do with your difficulties in the relationships.

The urgency of some problems can be sometimes so overwhelming that it becomes almost impossible to take a broader view of things.

Build your Personal Divorce Model Canvas; through it you may become more able to see your own Big Picture, taking a few steps back and reminding yourself of what is truly important.

When the work is done keep your Personal Model Canvas in a place where you can refer to it regularly.

Let’s make it together!

IO SONO ROSE, E SOPRAVVIVERÒ

Capita ogni volta che mi trovo a parlare con i colleghi. Li ascolto e in silenzio mi interrogo: avrò sbagliato professione? Essere avvocato ha rappresentato la logica prosecuzione dei miei studi giuridici eppure, nella scelta, ha prevalso la sfida caratteriale: imporlo a me stessa come un’arte per vincere insicurezze e fragilità, affrontando l’agone giudiziario, aprendomi agli altri e difendendone le ragioni secondo i principi della Costituzione. Il titolo di questo capitolo cita l’esortazione che Rose, la protagonista del romanzo di Catherine Dunne, si ripete nel corso della vicenda che vive per superare l’improvvisa e drammatica fine del suo matrimonio.

I processi sono, per definizione, dei contenziosi in cui ognuna delle parti pretende qualcosa dall’altra e può diventare naturale che un avvocato mutui, dalla competitività e alterigia che occorre investire in un processo, l’atteggiamento consueto nelle relazioni col prossimo. L’altro diventa implicitamente un avversario e all’identità dell’avvocato sembra sempre intrinsecamente legata l’idea di contrapposizione. È l’aspetto che in prospettiva rende la professione di avvocato faticosa e spesso ingrata; un atteggiamento critico verso il metodo contenzioso tuttavia non impedisce che sovente, se si propone un’alternativa, la tendenza dei più sia reagire con diffidenza. C’è chi è attratto dalla curiosità e dalla novità, qualcuno se ne ritrae invece con scetticismo, soprattutto quando l’esigenza di rivalsa e il desiderio di riversare nel conflitto giudiziario le proprie frustrazioni sono superiori a qualsiasi altra considerazione.

Ho frequentato le aule dei tribunali per oltre venti anni con la sgradevole e mesta sensazione di sentirmi fuori posto. Ho ammirato il fulgore oratorio di taluni colleghi, come la capacità di proporre abili eccezioni preliminari; sono stata spesso a un passo dal decidere di abbandonare, dedicandomi ad altro. Ho assistito un numero imprecisato di donne che si rivolgevano al Telefono Donna e al Centro antiviolenza locale; ho sperimentato la mia naturale inclinazione ad accogliere e sostenere la sofferenza del prossimo presso il Tribunale minorile regionale, trasformando il peso di cui bambini e adolescenti erano onerati in richieste di tutela dei loro diritti. Proprio sui bambini e sulle donne, la cui posizione economica e sociale di solito è svantaggiata, ho constatato gli effetti nefasti che può provocare avvicinarsi ai conflitti familiari con il metodo contenzioso e con gli strumenti giudiziari abituali, che conducono al processo una patologia ormai conclamata della vicenda affettiva. Ho verificato personalmente quanto siano alti, inoltre, il rischio di essere assorbiti dal conflitto, la tendenza a riflettervi le proprie emozioni e reazioni, la difficoltà a rimanere distaccati, la propensione spontanea ad alimentare le ostilità suggerendo strategie sempre più invasive, tipiche di processi lunghi e combattivi. Mi sono compiaciuta, nel corso del tempo, di utilizzare istituti giuridici sofisticati che ponevano in difficoltà le controparti, dando sfoggio di quanto appreso attraverso lo studio, la formazione specialistica e, soprattutto, attraverso l’esperienza applicata.

Fino a quando l’infelicità, che a un certo momento ho avuto la percezione di procurare negli altri, mi ha bloccata. Si trattava di un’infelicità profonda, di un astio che a prima vista sembrava colpire solo le controparti che trasferivano su di me il loro rancore verso il proprio ex partner. In realtà era un sentimento che suscitavo progressivamente anche nel mio assistito il quale, dopo tante battaglie, aveva perso di vista gli obiettivi primari e finiva per detestare, oltre che il suo ex consorte, anche me, responsabile di aver suggerito strategie combattive che gli apparivano d’un tratto inutili o controproducenti. Senza trascurare che nelle vicende più aspre, condotte senza esclusione di colpi, i figli risentivano del clima avvelenato e subivano le conseguenze dell’animosità tra i genitori, facendo a loro volta fatica ad accettare l’idea della separazione.

Nel frattempo ho dovuto vivere la mia personale separazione, il fallimento del mio progetto di vita affettivo. Ho tentato il più tenacemente possibile di tenere fuori i figli dal conflitto, non sempre ci sono riuscita. Le emozioni che si imprimono nella memoria di un bambino ne fanno la storia. In ciascuno di noi sopravvive chi le ha suscitate, a ciascuno di noi è affidato il compito di farsi bambino e di perseguirle. Provare l’esperienza di decine di occasioni in cui avevo assistito donne e bambini in difficoltà e metterla insieme alle storie di incomprensioni, incomunicabilità, piccoli e grandi soprusi quotidiani che mi erano stati narrati negli anni dalle persone incontrate, ha reso decisivo il mio incontro con il Diritto Collaborativo. © Olga Anastasi, IL DIVORZIO COLLABORATIVO, Capponi Editore 2013

  • Il titolo cita l’esortazione che Rose, la protagonista del romanzo di Catherine Dunne, La metà di niente, Guanda, Parma 1998, ripete a se stessa per superare l’improvvisa e drammatica fine del suo matrimonio.

 

SIGNORI BAMBINI

Signori bambini, ho appreso da voi l’arte di pensare e imparare attraverso storie e immagini. Da avvocato per molti anni mi sono occupata di famiglie e bambini, ho ascoltato tanti racconti, vicende tristi o allegre, realmente accadute. Nel cercare la soluzione più adatta a ciascuna storia, ho letto le norme che si occupano delle persone e delle relazioni con uno sguardo che mi ha consentito di intravedervi tutta l’umanità di cui sono pervase.

Il termine avvocato deriva dal latino ad-vocatus e significa letteralmente chiamato a: è colui che è chiamato a parlare per conto di qualcun altro. Ogni qualvolta sono stata convocata a rappresentare chi, come i bambini, ha per strumenti espressivi primari i sogni fatti parole e le immagini che li animano, ho compreso quanto nel diritto sia presente l’uomo, nell’universalità delle manifestazioni della sua anima.

Il diritto serve a coordinare i rapporti umani, tuttavia non si riesce a unirli in modo coerente se non secondo quella giustizia universale e oggettiva che è dell’uomo in quanto animale sociale. L’amore è dappertutto, in tutte le cose umane, perché è attraverso l’amore che l’uomo riesce a conseguire ciò che è importante per sé e i suoi simili. Tutto questo si conquista innanzitutto con l’educazione e l’esempio che impartiscono i genitori.

Con il rispetto delle regole e dei doveri che implica vivere in società e con l’amore per la scuola, inoltre, si esercita il diritto-dovere, costituzionalmente garantito, a crescere istruiti, ottenendo di trasformare i pensieri in parole.

Elio e Sofia sono nati nella fantasia per permettervi di leggere le norme della Costituzione, del Codice Civile e delle Convenzioni internazionali sull’infanzia e sull’adolescenza in un sistema armonioso affinché diventiate cittadini consapevoli che i rapporti personali sono disciplinati dal diritto, nel quale troverete sempre umanità e amore.

Buona avventura.

Introduzione tratta da “Elio, Sofia e il diritto di famiglia” catalogo Sinnos Editrice 2010 © testo e immagini Olga Anastasi – Riproduzione riservata

DREAMS WITHOUT GOALS ARE JUST DREAMS – LA PRATICA COLLABORATIVA ALL’UNIVERSITÀ DI SIENA

Eccellenza e modernità del Diritto Collaborativo e delle ADR nell’ateneo italiano che vanta otto secoli di storia. Sono felice e orgogliosa di annunciare l’evento che vedrà Ron Ousky relatore e ospite il 24 e 25 maggio all’università di Siena.

Grazie al Dipartimento di Giurisprudenza, alla professoressa Giuliana Romualdi e al nuovo direttivo del Gruppo Italiano di Pratica Collaborativa che lo hanno reso possibile.

#ADR #collaborativepractice #collaborativelaw #dirittocollaborativo #praticacollaborativa #mediazione #mediation #metodocollaborativo

AMMISSIBILE LA COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE DELLA CONSIGLIERA DI PARITÀ

La domanda risarcitoria nel processo penale è motivata dal pregiudizio che la Parte Civile ha subito a causa del comportamento illegittimo dell’imputato, datore di lavoro, imprenditore, che ha commesso gravi “delitti contro la persona”, quali appunto i reati sessuali, oltre che le lesioni aggravate, abusando della sua posizione di autorità e “supremazia” ponendo in essere le condotte illecite in violazione degli articoli 81 cpv., 610 e 609 bis, 582, 585, 576 e 61 n. 2 codice penale.

Egli ha agito, infatti, sul luogo di lavoro e in qualità di datore di lavoro delle vittime, soggiogandole, “riducendole quasi in schiavitù”, stabilendo persino dei turni delle prestazioni sessuali, a cui le sue dipendenti dovevano sottoporsi, pena il licenziamento. Forte di essere “il padrone dell’azienda”, ha trasformato il luogo di lavoro in un vero e proprio calvario per le lavoratrici, che hanno subito non solo discriminazioni, ma turpi violenze di ogni sorta, sia fisiche che psicologiche.

Ebbene, tale comportamento criminoso ha danneggiato, in maniera diretta ed immediata, anche l’attuale Parte Civile. Più precisamente il Consigliere di Parità, che è un Pubblico Ufficiale nello svolgimento delle sue funzioni ed è nominato con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro per le pari opportunità, svolge importanti compiti e funzioni diretti a promuovere e a controllare l’attuazione dei principi di uguaglianza, di opportunità e non discriminazione per donne e uomini nel lavoro, come è specificamente previsto dal D.Lgs. 23 maggio 2000, n. 196, recante la “Disciplina dell’attività delle consigliere e dei consiglieri di parità”.

Le consigliere e i consiglieri di parità intraprendono ogni utile iniziativa ai fini suddetti, svolgendo una serie di compiti di notevole rilevanza sociale, quali, in particolare, la rilevazione delle situazioni di squilibrio in genere, al fine di svolgere le funzioni promozionali e di garanzia contro le discriminazioni di cui alla legge n. 125/1991; la promozione dell’attuazione delle politiche di pari opportunità da parte dei soggetti pubblici e privati che operano nel mercato del lavoro; la diffusione della conoscenza e dello scambio di buone prassi e attività di informazione e formazione culturale sui problemi delle pari opportunità e sulle varie forme di discriminazione.

Il Consigliere di Parità, dunque, svolge un rilevante ruolo di mediazione tra le lavoratrici e/o i lavoratori e i datori di lavoro, pubblici e privati, avendo, peraltro, l’obbligo di segnalazione all’autorità giudiziaria per i reati di cui è posto a conoscenza. Inoltre, l’attività di attuazione dei principi di uguaglianza, opportunità e non discriminazione, cui è preposto il Consigliere di Parità, richiede da parte di quest’ultimo una costante opera di informazione nei confronti delle lavoratrici e dei lavoratori, anche attraverso veri e propri sportelli pubblici informativi, cui accedere in caso di difficoltà, per capire se si è oggetto di discriminazione ai sensi della L. 125/1991 e prevenire ogni tipo di violenza, che possa ledere l’integrità fisio-psichica della lavoratrice e del lavoratore. Tutto ciò, tenuto conto del particolare contesto territoriale, economico e sociale, in cui il Consigliere opera, e col quale vi è, di necessità, un collegamento diretto e concreto, come, evidentemente, nel caso di specie. A tal proposito si tenga conto del fatto che la libertà sessuale costituisce un fondamentale e inviolabile diritto della persona umana, non solo come diritto assoluto individuale, ma anche come interesse diffuso che è convertibile in interesse collettivo in favore di quegli enti che presentino uno stabile e preciso collegamento con una zona più o meno circoscritta, nella quale a seguito del verificarsi della concreta lesione, l’interesse medesimo si radica e si localizza territorialmente (criterio della cd. localizzazione territoriale). Alla luce di quanto sopra, è, dunque, evidente che il comportamento criminoso e discriminatorio dell’imputato abbia frustrato e leso in maniera grave proprio lo scopo perseguito dal consigliere di parità e la finalità primaria, cui, in base alla legge citata, è preposta la sua attività e la sua stessa esistenza, e cioè la promozione e l’attuazione dei principi di uguaglianza, opportunità e non discriminazione per donne e uomini nel lavoro, principi, peraltro, costituzionalmente garantiti, e palesemente violati dal datore di lavoro per cui è processo.

La condotta delittuosa del datore di lavoro ha determinato un danno diretto ed immediato al Consigliere di Parità, proprio perché in contrasto con la finalità essenziale suindicata, la cui attuazione non è un mero interesse del Consigliere stesso, ma assurge al rango di un vero e proprio diritto soggettivo, e precisamente un diritto della personalità, riferendosi al patrimonio morale imprescindibile di tale soggetto, che esiste ed agisce proprio in virtù del perseguimento del ridetto scopo (in questo senso cfr. Cass. Pen., sez. III, 7 febbraio 2008 – 26 marzo 2008, n. 12738; Cass. Pen. , sez. V, 17 febbraio 2004 – 23 marzo 2004, n. 13989; Trib. Palermo, 11/1/2001).

Sentenza resa dal Tribunale di Ascoli Piceno il 3 novembre 2010

 

IL CIRCOLO VIRTUOSO

Se si è in possesso di una forza dell’intelletto tanto completa, articolata e matura da trasformare una antica disciplina in un mezzo valido per comprendere la realtà contemporanea, allora può accadere davvero qualcosa di straordinario e duraturo. Quando nel 1960 H. G. Gadamer diede alle stampe Verità e Metodo, il filosofo colpì al cuore l’antica tradizione dell’interpretazione dei testi, nata in ambito religioso con lo scopo di trovare e spiegare il corretto significato dei testi sacri, e in seguito adottata per la spiegazione dei testi giuridici.[1]

Ermeneutica – dal greco hermeneúein “interpretare, tradurre” – deriva dalla stessa radice etimologica del nome del dio Hermes, il Nunzio messaggero degli dei, collegata al termine latino sermo, “discorso”. L’etimologia chiarisce il significato di spiegazione, interpretazione, processo grazie al quale si attua la comprensione di: la complessità di un testo, l’oscurità di un oracolo, la difficoltà di una norma giuridica, l’impenetrabilità di un passo della Bibbia. Gadamer attribuisce all’ermeneutica una valenza attuale e la disciplina antica si trasforma da metodologia interpretativa in riflessione filosofica. La centralità attribuita all’interprete, che nell’incontrare l’opera o la norma giuridica la ricrea e la arricchisce di nuovi significati, è propriamente il nucleo di quella che Gadamer chiama “integrazione ermeneutica” che si attua nella “fusione degli orizzonti”, poiché il dialogo tra oggetto e interprete è un confronto tra mondi diversi che genera nuove idee. Il centro filosofico dell’ermeneutica non si trova nell’atto dell’interpretare ma del COMPRENDERE. Perché questo accada, è necessario porsi in atteggiamento di profonda ricezione, consapevoli che la nuova interpretazione avverrà considerando le conoscenze che su quell’opera o su quella legge possediamo già come parte del nostro patrimonio culturale, a sua volta eredità del sapere che ci ha preceduto, formando una nuova tradizione. Nell’interpretazione dell’opera d’arte o del testo giuridico dunque, si attua un processo di trasformazione e integrazione, purché ci si muova in un orizzonte comune di senso entro cui è davvero possibile comunicare e comprendere. Il circolo costituito da fruizione, comprensione e interpretazione si mostra così nella sua vera natura di CIRCOLO VIRTUOSO che accoglie il senso, lo anticipa e lo rigenera.

Come l’interprete dell’opera d’arte, il giurista è immerso nella tradizione della propria disciplina, partecipando creativamente alla produzione del Diritto: interpreta e rielabora le norme già codificate e genera senso nuovo accrescendo la tradizione, attraverso l’anticipazione di idee future. Le norme giuridiche diventano rappresentazioni di senso nell’atto di interpretare di volta in volta un caso concreto, sintesi perfetta di teoria e prassi, di studio e applicazione, col “fine ultimo di conoscere per operare e operare conoscendo” perché “l’esperienza umana non è fatta di stati di coscienza atomistici e puntuali, ma di connessioni di significato che implicano un incessante riordinamento retrospettivo e prospettico” che si attua per gradi, aggiustamenti e rinvii successivi. Ciò che Gadamer intende per esperienza ermeneutica, e che identifica esemplarmente nell’incontro con l’opera d’arte, si rintraccia quindi anche in altri ambiti delle relazioni e attività umane, prima fra tutte quella giuridica. Scrive il filosofo: “Il giudice non applica solo in concreto la legge, ma con la sentenza che pronuncia porta uno sviluppo del diritto”, a convinzione della tesi secondo cui l’interpretazione non è atto passivo, ma genesi creativa di ulteriori aspetti e significati. Un appuntamento da non mancare, un incontro con la verità di noi stessi, delle cose e dell’altro.

[1] Hans Georg Gadamer, Verità e Metodo. Lineamenti di un’ermeneutica filosofica, Milano 2001. In questa raccolta di dodici saggi scritti tra il 1968 e il 1998, il filosofo tedesco riflette sulla comprensione dell’essere umano nella sua totalità e rende manifesto il carattere universale del fenomeno del comprendere, rintracciandone le condizioni di possibilità, ossia le strutture trascendentali che ne rendono sempre di nuovo possibile la genesi nel pensiero umano.

Paola Pallotta, “Arte e Diritto, la bellezza delle relazioni umane” in O. Anastasi, IL DIVORZIO COLLABORATIVO, l’arte di separarsi con amore”, 2014 © Riproduzione riservata

LA VOCE UNIVERSALE

 L’arte infatti si manifesta pur sempre come una cosa, un oggetto, un prodotto, un’opera d’arte. […] e sempre contiene tuttavia una condizione che non è propriamente qualcosa di determinato. Solo che l’arte, guardandola-attraverso, in qualche modo la esibisce e la rende percepibile.[1]

L’opera d’arte si mostra dunque come l’occasione di riflessione sulla natura delle cose e degli accadimenti e ci costringe alla comprensione del conoscere in generale. Dell’arte e dell’opera d’arte si deve fare esperienza, consapevoli dell’impossibilità di definire precisamente cosa esse siano. “Nell’esperienza estetica dunque si anticipa a priori l’esperienza in genere: non semplicemente facciamo esperienze, ma lì sentiamo di essere-nell’esperienza, che ha senso fare esperienze e che da queste può sorgere una conoscenza effettiva.” A guidare l’esperienza è un principio del tutto atipico: il SENTIMENTO che mette in LIBERO ACCORDO le nostre facoltà per produrre la conoscenza. Si tratta del principio estetico del giudicare in generale, del comprendere, del pensare e del significare: per questa sua natura esige il CONSENSO DI OGNUNO.[2]

La possibilità di COMUNICARE universalmente lo stato d’animo, infatti, non è meramente personale, ma aspira all’intersoggettività e all’universalità, determinando un piacere ogni volta che questo accade, ogni volta, cioè, che sentiamo di poter comunicare. Si configura come vera e propria esigenza, una VOCE UNIVERSALE: chiamare l’altro affinché la conoscenza si compia, insieme e per ciascuno di noi.[3] L’esigenza di adesione e partecipazione dell’altro si trasforma in un imperativo imprescindibile e genera la sensazione di essere davvero all’interno di un’esperienza, nella condizione originaria del comprendere stesso. Questo compiono gli artisti e gli interpreti del Diritto: attraverso la funzione sociale e civile delle loro azioni liberano da pregiudizi e definizioni e creano il luogo della conoscenza. Con impegno e cura attuano la capacità di mettersi in gioco, per costruire il vero dialogo tra il nostro mondo e quello dell’altro nel processo di annullamento della contrapposizione e dell’estraneità. “Ogni uomo è un artista” sostiene Joseph Beuys[4], con l’intento di esaltare le qualità, il talento e la creatività di ciascuno nel proprio ambito. La creatività e l’arte sono per Beuys il CAPITALE UMANO, energia creativa che può diventare rivoluzionaria. L’arte, cioè, assume i contorni di concetto antropologico e non solo estetico, poiché è in grado di plasmare l’intera esistenza: “la rivoluzione siamo noi.

Il libro di Olga Anastasi, riflettendo su una materia così sensibile come le relazioni affettive getta una luce nuova sulla mentalità irreggimentata e la stravolge. Agendo in modo opposto a quello codificato, apre con risolutezza a una rivoluzione e costringe a pensare in modo inusuale.[5]

[1] Emilio Garroni, Estetica. Uno sguardo-attraverso, Milano 1992.

[2] Immanuel Kant, Critica della Facoltà di Giudizio, traduzione e cura di E. Garroni e H. Hohenegger, Torino 1999.

[3] Immanuel Kant, Critica della Facoltà di Giudizio, traduzione e cura di E. Garroni e H. Hohenegger, Torino 1999. A questo proposito Kant è molto esplicito: “Ora qui è da notare che nel Giudizio di gusto non viene postulato altro che tale voce universale, riguardo al piacere senza mediazione di concetti, e quindi la possibilità di un giudizio estetico, che possa essere nello stesso tempo considerato valevole per ognuno. Il Giudizio di gusto, per sé stesso non postula il consenso di tutti (perché ciò può farlo solo un giudizio logico che fornisce ragioni); esso esige soltanto il consenso di ognuno, come un caso della regola, rispetto al quale esso attende la conferma non da concetti ma dalla adesione altrui.

[4] Joseph Beyus (1921-1986) è stato il più importante artista tedesco contemporaneo, icona del Novecento, portavoce dell’arte concettuale. Docente di Scultura all’Accademia di Belle Arti di Düsseldorf, da cui viene espulso per le idee troppo all’avanguardia, l’artista affronta, lungo tutta la carriera, temi fondanti dell’arte contemporanea, mantenendo sempre un afflato didattico, da educatore. Attraverso i suoi Objekten (sculture, installazioni) e le sue Aktionen (eventi, happening, performance) mette in scena con costante provocazione la volontà di andare oltre il concetto di arte tradizionale, estendendo la sfera estetica al pensiero e all’agire umano. Impressionante la varietà e la tipologia dei materiali e degli oggetti usati per rappresentare il concetto ampliato di scultura sociale, che deve realizzarsi con la partecipazione di ognuno: ferro, legno, pietra, juta, piombo, lampadine, terriccio, chiodi, stoffe, slitte, telefoni, ma soprattutto grasso e feltro, rispettivamente conduttore e conservatore di calore, elementi di particolare valenza simbolica. Amato o denigrato, lo sciamano Beuys si è impegnato senza risparmiarsi nella costruzione di una nuova società, anche attraverso il diretto impegno politico come fondatore e attivista del partito ambientalista e ecologista dei Grünen, i Verdi tedeschi.

[5] L’avvocato Anastasi mi suggerisce che il termine shift (inglese: cambiamento, spostamento) è usato nel linguaggio del Diritto Collaborativo per indicare il mutamento di paradigma.

Paola Pallotta, “Arte e Diritto, la bellezza delle relazioni umane” in O. Anastasi IL DIVORZIO COLLABORATIVO, l’arte di separarsi con amore, 2014 © Riproduzione riservata

AVANGUARDIA E RIVOLUZIONE

L’insieme dei principi generali posti a fondamento del Diritto, apparentemente fermi, risentono invece dei cambiamenti profondi della coscienza del mondo, delle richieste della società, delle evoluzioni che gli esseri umani, in quanto viventi, quasi impongono alle proprie istituzioni. Questo movimento creativo genera anche l’allargamento delle ramificazioni dei rapporti che l’Arte e il Diritto instaurano con le altre discipline, producendo relazioni esterne ai loro campi specifici (mi piace ricordare che Wassily Kandinskij, “inventore” e codificatore dell’astrattismo in pittura, divenne artista dopo la laurea in legge e che Henri Matisse intraprese la carriera artistica partendo dallo studio del diritto).

La riflessione sui fondamenti del Diritto, sull’idea di giustizia e sulla natura della legge, costituisce il perenne sfondo filosofico entro cui il giurista deve muoversi per consentire il crescere di una forma razionale che funga da modello alle diverse applicazioni. Ciò che interessa, infatti, non è solo la verità del Diritto, ma i suoi rapporti con la società e la morale, in continua metamorfosi. Lo studio dell’Arte e lo studio del Diritto comportano oggi più che mai, da questo punto di vista, una interrelazione strettissima tra campi disciplinari apparentemente non tangenti. L’INTERDISCIPLINARIETÀ è la metodologia di un approccio corretto e professionale a qualsivoglia settore di studio che guardi agli sviluppi della scienza, della medicina, della fisica, della tecnologia. Una delle novità del Diritto Collaborativo, e che Olga Anastasi vuole divulgare, si fonda sulla complessità della relazione tra i vari campi disciplinari che concorrono alla riuscita del Metodo.

Nello studio della Storia dell’arte la complessità e la varietà di quegli oggetti così speciali che chiamiamo opere d’arte richiede, nell’analisi e nella comprensione, l’affidarsi ad una visione più ampia e eterogenea che renda conto del contesto, dello spirito del tempo, dei cambiamenti generali nei modi del pensare. Si esige quindi che i metodi e gli strumenti varchino il confine territoriale della disciplina e si accostino alla matematica e alla fisica, alla musica come alla filosofia, alla biologia e alle scienze sociali e psicologiche, spesso alla religione. A mio giudizio, esempio perfetto di questo modo di operare è l’edizione del 2013 della Biennale d’Arte di Venezia, curata da un giovane critico e storico dell’arte, Massimiliano Gioni, e intitolata Il Palazzo Enciclopedico. La mostra si apriva, prendendo ispirazione e indirizzo, con l’esposizione del Libro rosso di Jung e di molte delle tavole a colori disegnate dallo psicanalista).[1]

Gli artisti, si sa, rompono il muro del silenzio e sfidano i tempi con coraggio e azzardo, scardinando l’ordine prestabilito e interrompendo il flusso della normalità, così come osò fare l’arte delle avanguardie del Novecento e come continua a fare ancora oggi, costringendo spettatori, critici e specialisti a pensare in modo inusuale, a volte così ardito da risultare scandaloso, compreso solo a posteriori. Ci misuriamo così col più grande cimento e cerchiamo le parole: l’opera d’arte ci svela la sua capacità di parlare del mondo in termini tanto diversi da quelli che usiamo nelle nostre relazioni quotidiane e rende manifesta la vera natura delle cose, ne anticipa e ne chiarisce il senso, quello originario e più inaccessibile.

Con la stessa forza anche il Diritto Collaborativo è un MODO SPECIALE DI PENSARE,[2] di cambiare se stessi insieme al mondo, non possiede la certezza dell’applicazione ma si presenta come l’unico percorso possibile, oggi, per realizzare la sintesi tra l’astrattezza della legge e la concretezza del caso particolare in materia di separazione.

Essere contemporanei, cosa richiesta sia all’artista che a colui che giudica o redige le norme che regolano da vicino le relazioni umane più sensibili, vuol dire non coincidere perfettamente col proprio tempo, ma essere in grado di percepire il buio del presente per afferrarne l’essenza. Scrive Giorgio Agamben: “La contemporaneità è una singolare relazione che aderisce al proprio tempo e, insieme, ne prende le distanze. […] Coloro che coincidono troppo pienamente con la loro epoca […] combaciando perfettamente con essa in ogni punto, non sono contemporanei perché, proprio per questo, non riescono a vederla. […] Per esperire la contemporaneità è invece necessario quello scarto che consente di scorgere l’ineffabile e contemporaneo è chi riceve in pieno viso il fascio di tenebra proveniente dal suo tempo.”[3]

[1] 55a Esposizione Internazionale d’Arte Biennale di Venezia, Il Palazzo Enciclopedico, a cura di Massimiliano Gioni, Padiglione Italia, Venezia 2013.

[2] Harold Rosenberg, L’arte è un modo speciale di pensare, Torino 2000.

[3] Giorgio Agamben, Che cos’è il contemporaneo, Roma 2008. Il testo è la lezione inaugurale del corso di Filosofia Teoretica tenuto dall’autore presso la Facoltà di Arti e Design dello IUAV di Venezia, anno accademico 2006-2007, folgorante esempio di come si possa affrontare la questione della contemporaneità con capacità immaginifica e insieme rigore filosofico.

Paola Pallotta “Arte e diritto, la bellezza delle relazioni umane” in Olga Anastasi, “IL DIVORZIO COLLABORATIVO” 2014  © Riproduzione riservata

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fonire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o clicchi su "Accetta" permetti al loro utilizzo.

Chiudi