Olga

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INSIEME A TE NON CI STO PIÙ. CON EFFICACIA IMMEDIATA (video)

“Donne in campo. Quando è il potere a essere violento” – Ascoli Piceno, 12 marzo 2017 – Sala Cola dell’Amatrice, Complesso Monumentale di San Francesco

Olga Anastasi legge brani tratti da “MI SA CHE FUORI è PRIMAVERA” di Concita De Gregorio – Narratori Feltrinelli, e “LACCI” di Domenico Starnone, Einaudi Editore. Alessandra Hopps fa da contrappunto con massime della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Nella Sentenza Cengiz Kilic c. Turchia del 06 dicembre 2011 la Corte Europea dei Diritti dell’uomo ha stabilito che a causa dell’eccessiva durata del divorzio, con riferimento alla responsabilità genitoriale e ai diritti di visita del genitore non convivente con il minore, vi fu violazione dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione. Lo Stato non era stato all’altezza dei suoi compiti e non aveva adottato tutte le misure che avrebbero potuto ragionevolmente essere adottate.
Era stato inoltre violato il diritto al giusto processo in un tempo ragionevole per le conseguenze sulla relazione fra i genitori e il figlio. La Corte ha richiamato la raccomandazione del Consiglio d’Europa sulla mediazione familiare che avrebbe potuto ridurre il conflitto fra le parti e consentire la continuità dei rapporti personali.

 

Nel caso Elisaveta Talpis c. Italia del 2 febbraio 2017 la Corte europea ha condannato per la prima volta l’Italia per la lentezza nel proteggere una donna e suo figlio in un caso di violenza domestica per atti compiuti dal marito che hanno poi portato all’assassinio del ragazzo e al tentato omicidio della moglie. I giudici di Strasburgo hanno stabilito che “non agendo prontamente in seguito a una denuncia di violenza domestica fatta dalla donna, le autorità italiane hanno privato la denuncia di qualsiasi effetto creando una situazione di impunità che ha contribuito al ripetersi di atti di violenza”. La Corte ha condannato l’Italia per la violazione dell’articolo 2 (diritto alla vita), 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) e 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione europea dei diritti umani.

Con sentenza del 29 aprile 2003 nel caso Iglesias Gil e A.U.I. c. Spagna la Corte di Strasburgo ha riconosciuto la doglianza della donna secondo cui le Autorità spagnole non avevano assunto misure appropriate e diligenti per assicurare l’immediata esecuzione delle decisioni che le assegnavano la custodia esclusiva della figlia, portata negli Stati Uniti dal padre. La Corte ha sostenuto che vi fosse una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare. – Nel caso Sneersone e Kampanella c. Italia del 12 luglio 2011 la Corte ha condannato l’Italia per aver ordinato il rientro in Italia dal padre di un giovane che viveva con la madre in Lettonia.
Secondo la CEDU il Tribunale italiano aveva dato una motivazione carente e una risposta inappropriata al trauma psicologico che inevitabilmente sarebbe derivato da un taglio improvviso e irreversibile del forte legame tra madre e figlio.

Nella sentenza CEDU contro la Romania del 19 febbraio 2013 sono stati considerati il ricovero psichiatrico di una madre e il collocamento in comunità dei due figli minori.
La Corte ha ritenuto violato l’articolo 8 della Convenzione sia per il ricovero della donna, sia per l’affidamento dei suoi figli minorenni in istituto. La Corte ha sottolineato che in Romania vi era un ampio numero di precedenti per reclusione impropria di soggetti affetti da disordini psichiatrici. La Corte ha concluso che, nel giudizio sulla situazione clinica della ricorrente, le Autorità rumene non avevano seguito le procedure e, inoltre, non avendo nominato per lei un avvocato o un curatore, avevano privato la ricorrente del suo diritto a essere parte del procedimento con cui si era deciso il collocamento dei figli in comunità.

Nel caso PALAU-MARTINEZ contro Francia (sentenza 16 dicembre 2003) invece, seguito al caso Hoffmann contro Austria (23.6.1993), la protagonista, donna e madre, solo per aver professato una fede diversa da quella del marito, con un giudizio discriminatorio basato su considerazioni esclusivamente di ordine religioso e non su un pregiudizio oggettivo, si è vista sottratta l’affidamento dei suoi tre figli senza tener conto che vivevano con lei da sempre e da quasi quattro anni dopo il divorzio, dimostrando amore e attaccamento nei suoi confronti. La Corte ha quindi sanzionato il processo con cui i giudici francesi avevano revocato i diritti genitoriali alla madre perché Testimone di Geova con una decisione carente che non aveva tenuto conto nemmeno del precedente abbandono del domicilio familiare da parte del marito.

VIOLARE IL SILENZIO. NON AVERE PAURA DI CHIEDERE AIUTO

Ascoli Piceno, 28 novembre 2015

VIVIR CON MIEDO ES COMO VIVIR A MEDIES di Olga Anastasi

C’è un vecchio proverbio spagnolo che recita “vivere con la paura è come vivere a metà”. Leggo le parole di Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace nel 1991, ora primo ministro birmano, perché sono quasi il programma della sua lotta per la libertà: “Dobbiamo essere liberi dalla paura. Non è il potere che corrompe, ma la paura. Il timore di perdere il potere corrompe chi lo detiene e la paura del castigo da parte del potere corrompe chi ne è soggetto”. Non c’è bisogno di moltiplicare i commenti attorno a una verità così lampante. La paura, infatti, è la radice di tante vergogne che si commettono. La paura di perdere una carica ti vota all’adulazione, all’inganno, all’umiliazione. La paura di perdere un affetto ti spinge alla gelosia e ad atti meschini. La paura di perdere il predominio sugli altri ti rende implacabile e fin crudele. La paura di perdere la fama ti fa vanitoso e fatuo. Potremmo andare avanti a lungo in questa litania di debolezze e miserie. Va distinta la paura da un’altra realtà che usiamo di solito come sinonimo: il timore. Spesso, infatti, si crede di essere audaci perché non si ha più rispetto dell’altro e si diventa, così, arroganti, insolenti, impertinenti. Se la paura può essere un difetto, il timore è una virtù. Nella Bibbia si legge: «Il timore del Signore è principio di sapienza» (Proverbi 1,7).

Come possiamo vincere la paura, è la domanda. Attraverso la conoscenza, l’acquisizione di consapevolezze, studiando, curando la nostra educazione e quella del nostro prossimo più vicino. L’uso del mito è un punto di partenza perché il mito è la favola, il racconto, la rappresentazione allegorica di un’idea, di un concetto che diventa archetipo, esemplare, modello che trascende le cose sensibili e che può aiutarci a interpretare la realtà. Un pò come dice Quentin Tarantino, “non puoi conoscere i fatti se non conosci la fiction”.

La tragedia rappresentata oggi è stata “Le troiane” di Euripide nel cui dramma la presenza viva e acuta del dolore si congiunge con la convinzione dell’eroicità della sventura di fronte alla vittoria dei distruttori. Tale vittoria è però solo apparente, poiché ognuna delle protagoniste dell’opera trova il modo di reagire, a proprio modo, alla tremenda sventura che le ha colpite. I vincitori, invece, che sono poi alcuni dei più grandi eroi della mitologia greca, si comportano solo come insensati aguzzini, capaci della più bruta barbarie senza la minima remora. Le donne troiane insomma hanno perso tutto, ma non la loro dignità umana, che invece gli spietati soldati greci sembrano non aver mai posseduto. Ecco, ragionando per iperbole, oserei dire che usando il mito agiamo un po’ come con ciò che avviene con il diritto che studia la fattispecie astratta, ossia il comportamento previsto in generale dalla norma, a cui l’ordinamento ricollega determinate conseguenze giuridiche e, analizzando la fattispecie concreta, ciò che è avvenuto nella realtà, dalla loro eventuale coincidenza, attraverso un procedimento di sussunzione, può indurci a ritenere che a quel caso si applichi quella determinata norma. Il diritto accompagna la vita di ogni essere umano fin dall’infanzia e la maggior parte dei comportamenti, individuali o sociali, sono da esso previsti e disciplinati. Per tale motivo è fondamentale non solo conoscere le regole che guidano i rapporti della convivenza, ma soprattutto interiorizzarle. Qualsiasi norma, infatti, per avere attuazione, non può essere semplicemente accompagnata dalla sua coercibilità, ma deve essere espressione di un precetto che il destinatario riconosce come proprio.

Appare fondamentale pertanto offrire alle nuove generazioni la possibilità di conoscere le ragioni profonde dei doveri e dei diritti poiché potrebbe non essere sufficiente a prevenire le condotte illecite soltanto la consapevolezza delle conseguenze che possono scaturire, per sé e per gli altri, dalla violazione di una norma, così come potrà essere maggiormente apprezzata la conquista di un diritto perché se ne conosce il fondamento. In questa logica il format dell’Unione Nazionale Camere Minorili sulla legalità nella parte in cui si sofferma, per le fasce di studenti adolescenti, sulla sfera legale-affettiva li stimola a conoscere e interiorizzare i principi giuridici, in particolare costituzionali, relativi all’inviolabilità della persona, a individuare ipotesi relazionali in cui vengano coinvolti rapporti amicali, affettivi, sessuali di minorenni tra di loro e di minorenni con maggiorenni giungendo a identificare eventuali disfunzioni dei rapporti e disagi connessi e le conseguenze sia in termini sociali che giuridici. Questo nella prevenzione.

 

Quando invece ci troviamo a lavorare nella disfunzione, con la violenza in atto subita nella violenza domestica, ambito a cui ci dedichiamo oggi, abbiamo a che fare con un individuo che lotta innanzitutto contro sé stesso e con i propri fantasmi interiori. Per chi conosce la favola di Barbablù, sia nell’interpretazione di Bettelheim che in quella rivisitata delle versioni latino americane di “Donne che corrono con i lupi” di Clarissa Pinkola Estés, è il predatore innato che in psicanalisi rappresenta il dramma interiore di ogni donna, acquattato all’interno della psiche di ogni individuo lo costringe a uno stato di profonda reclusione e ci osserva per contrastarci. La donna vittima di violenza lotta pertanto con questo dissennatore della sua psiche prima ancora che con il proprio aggressore. Tutti hanno paura infatti ma ciò che fa la differenza è il modo di affrontarla, di trovare soluzioni al problema con un atteggiamento positivo. Occorre essere capaci di assumersi la responsabilità della propria infelicità e agire per migliorare. Affrontare il cambiamento che è innanzitutto cambiamento contro se stessi. Lottare contro il proprio aggressore all’interno delle pareti domestiche comporta questo. La donna vittima di violenza domestica teme sé stessa e ciò che l’aspetta, teme di dover tradire sé stessa andando contro tutto ciò che aveva agito sino ad allora. L’etimologia del termine paura deriva dal latino: pat-veo = scuoto; percuotere, urtare, atterrire, incutere timore; forte movimento d’animo con turbamento dei sensi per cui l’individuo è eccitato a fuggire un oggetto, una persona o una situazione che gli pare nocivo. Un caposaldo della letteratura psicanalitica junghiana, “Amare tradire” di Aldo Carotenuto descrive come il tradimento non sia che obbedienza all’imperativo, inscritto nella stessa dinamica evolutiva della psiche, di emanciparsi da tutto ciò che ci mantiene fedeli a un’immagine che non ci corrisponde, e che risponde invece alle richieste dell’ambiente sociale o al desiderio dei suoi interlocutori.

I dati sulla violenza pubblicati a giugno 2015 ci dicono comunque che il quadro va lentamente migliorando nel senso che il 68% di donne che avevano un partner violento lo lascia a causa della violenza subita, per il 41,7% la violenza è stata la causa della separazione, le donne giovani (16-24 anni) rispetto al 2006 denunciano un numero inferiori di violenze subite, segno che la coscienza femminile sta crescendo e intacca i livelli di violenza fisica, sessuale e psicologica. Purtroppo tuttavia a volte nemmeno la forza del cambiamento ci salva dalla follia del gesto insensato come è accaduto mercoledì 25 novembre scorso a una donna, collega perugina, moglie e madre, assassinata a colpi di fucile dal marito, mentre il bambino di sei anni della coppia si trovava in un’altra ala della villa, e dopo che già il marito aveva usato violenza alla moglie rompendole un timpano, per accessi di ira e gelosia.

Secondo la definizione che ne dà la Convenzione Instanbul approvata dal Consiglio d’Europa nel maggio 2011 ed entrata in vigore in Italia dal 1^ luglio 2013 per effetto di legge di ratifica 27 giugno 2013, n. 77, con l’espressione “violenza domestica” si designano tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima (art. 3 lettera b). Con il termine “donne” sono da intendersi anche le ragazze di meno di 18 anni (art. 3 lettera f). Tale normativa internazionale ha di fatto preceduto e ispirato il cd. decreto legge sul femminicidio (Decreto Legge 14 agosto 2013, n. 93 convertito in Legge 15 ottobre 2013, n. 119 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale 15 ottobre 2013, n. 242), famoso innanzitutto perché ha introdotto un altro concetto, quello della “violenza assistita” o percepita, una nuova circostanza aggravante comune: “l’avere, nei delitti non colposi contro la vita e l’incolumità individuale, contro la libertà personale nonché nel delitto di cui all’articolo 572, commesso il fatto in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza” (art. 61, comma 1, n. 11-quinquies).

Il decreto legge sul femminicidio reca nuove norme per il contrasto della violenza di genere che hanno l’obiettivo di prevenirlo e proteggere le vittime, rendendo più incisivi gli strumenti della repressione penale dei fenomeni di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e di atti persecutori (stalking). Sono quindi inasprite le pene quando:

  • il delitto di maltrattamenti in famiglia è perpetrato in presenza di minore degli anni diciotto;
  • il delitto di violenza sessuale è consumato ai danni di donne in stato di gravidanza;
  • il fatto è consumato ai danni del coniuge, anche divorziato o separato, o dal partner.

Un secondo gruppo di interventi riguarda il delitto di stalking:

  • viene ampliato il raggio d’azione delle situazioni aggravanti che vengono estese anche ai fatti commessi dal coniuge pure in costanza del vincolo matrimoniale, nonché a quelli perpetrati da chiunque con strumenti informatici o telematici;
  • viene prevista l’irrevocabilità della querela per il delitto di atti persecutori nei casi di gravi minacce ripetute (ad esempio con armi).

Sono previste poi una serie di norme riguardanti i maltrattamenti in famiglia:

  • viene assicurata una costante informazione alle parti offese in ordine allo svolgimento dei relativi procedimenti penali;
  • viene estesa la possibilità di acquisire testimonianze con modalità protette allorquando la vittima sia una persona minorenne o maggiorenne che versa in uno stato di particolare vulnerabilità;
  • viene esteso ai delitti di maltrattamenti contro famigliari e conviventi il ventaglio delle ipotesi di arresto in flagranza;
  • si prevede che in presenza di gravi indizi di colpevolezza di violenza sulle persone o minaccia grave e di serio pericolo di reiterazione di tali condotte con gravi rischi per le persone, il Pubblico Ministero – su informazione della polizia giudiziaria – può richiedere al Giudice di irrogare un provvedimento inibitorio urgente, vietando all’indiziato la presenza nella casa familiare e di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa.

Infine, è stabilito che i reati di maltrattamenti ai danni di familiari o conviventi e di stalking sono inseriti tra i delitti per i quali la vittima è ammessa al gratuito patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito (il gratuito patrocinio a prescindere dal reddito è previsto anche per le vittime di mutilazioni genitali femminili). Ciò al fine di dare, su questo punto, compiuta attuazione alla Convenzione di Istanbul, recentemente ratificata, che impegna gli Stati firmatari a garantire alle vittime della violenza domestica il diritto all’assistenza legale gratuita. Sempre in attuazione della Convenzione di Istanbul, si prevede il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di protezione (Tutela vittime straniere di violenza domestica, concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari come già previsto dall’articolo 18 del TU per le vittime di tratta).

Le avvocate delle case delle donne e dei centri antiviolenza dell’Associazione nazionale D.i.Re, Donne in rete contro la violenza, impegnate su tutto il territorio nazionale, sia in sede civile che penale, nella difesa delle donne vittime di violenza maschile, nel loro comunicato annuale hanno denunciato prassi giudiziarie che minano l’attuazione dei principi e degli obiettivi della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, atto internazionale vincolante, entrato in vigore in Italia il primo agosto del 2014. Si tratta di prassi che, di fatto, ostacolano la scelta della donna di chiudere la relazione con il partner violento e ledono i suoi diritti inviolabili. “In primo luogo, si rileva che l’accesso alla giustizia e la conseguente richiesta di tutela per la propria incolumità psicofisica è pregiudicato dalla non tempestività dell’intervento da parte degli operatori coinvolti in violazione degli articoli 49 e 50 della Convenzione. In particolare, si segnala che le forze dell’ordine non sempre trasmettono con immediatezza la notizia di reato alle Procure, così ritardando l’immediata iscrizione della notizia di reato e lasciando la donna priva di tutela proprio nel momento di massimo rischio per la sua incolumità: è, infatti, con la presentazione della denuncia/querela che nella maggioranza dei casi l’uomo aumenta di intensità la sua condotta violenta per punire la scelta della donna di interrompere la relazione. Spesso ancora da parte dell’autorità giudiziaria si sottovaluta la pericolosità dell’uomo violento: non si applicano le misure cautelari idonee a prevenire fatti di violenza più gravi di quelli denunciati, poche volte si procede, in caso di violazione della misura cautelare, all’aggravamento delle stesse, troppo spesso la misura cautelare perde di efficacia prima della sentenza di primo grado. Tali prassi violano gli obblighi sanciti agli articoli 51, 52 e 53 della Convenzione. Non è un caso che nella maggioranza dei casi le donne sono state uccise dai partner o ex partner dopo aver presentato la querela.

Anche in ambito civile si registra la non tempestività delle autorità nel garantire l’accesso delle donne alla giustizia se si considera che, dopo il deposito di un ricorso civile per separazione o per l’affidamento dei figli, la prima udienza presidenziale può avvenire anche dopo otto/dieci mesi; nel frattempo la donna rimane priva di tutela anche per quanto concerne gli ordini di protezione che possono disporsi in sede civile.

Poche le tutele anche per i figli minorenni vittime di violenza assistita: diffuse sono le prassi che si pongono in violazione al principio dell’art. 31 della Convenzione di Istanbul che impone di considerare nelle decisioni relative all’affidamento dei figli minorenni i pregiudizi psicofisici causati agli stessi per avere assistito alla violenza. Troppo spesso viene disposto l’affidamento condiviso dei figli minori senza tener conto della pendenza di un processo penale per maltrattamenti nei confronti del padre oppure dell’applicazione di misure cautelari emesse dal tribunale penale e, a volte, anche della sentenza di condanna per maltrattamenti.

Ciò si pone in violazione dell’obbligo generale di cui all’art. 18 della Convenzione che impone la cooperazione efficace tra tutti gli organismi statali competenti comprese le autorità giudiziarie a tutela dei diritti delle donne vittime di violenza di genere. Queste prassi rappresentano una palese violazione dell’obbligo di dovuta diligenza che la Convenzione impone a tutti gli operatori statali coinvolti nel contrastare la violenza maschile contro le donne”.

Il primo suggerimento che va dato per interrompere subito il ciclo di violenza è rivolgersi subito alle forze dell’ordine o al servizio sociale e chiedere aiuto al centro antiviolenza più vicino o rivolgendosi al numero di pubblica utilità 1522 che mette in rete gli operatori. Tra le paure più comuni c’è il dopo, per l’incolumità propria e dei propri figli, problema in relazione al quale se una donna, per quanto fragile, è adulta e dunque, protetta nei centri di accoglienza, avviata a un percorso di tutela e sostegno, resa autonoma economicamente, può ragionevolmente rappresentarsi un futuro di ripresa.

Il quesito però più emergente, se invece ci sono figli, è se chiedendo aiuto e denunciando si rischia di vedersi portati via i bambini. La risposta che mi sento in coscienza di dare è che anzi, per evitare di essere considerata una madre “non tutelante” vale la pena di affrontare le proprie paure e rischiare l’alea di essere messa in discussione, come moglie, come madre, come individuo. Certo non si può generalizzare ma è dato comune che i comportamenti violenti si apprendono per emulazione e dunque i figli maschi hanno maggiori probabilità di diventare a loro volta uomini violenti e le femmine di innamorarsi di uomini come il padre, in ciò reiterando i comportamenti materni. Essenziale pertanto, in vista di rendere ai nostri figli, risulta un modello di comportamento che spezzi la catena della violenza e vinca le proprie paure.

Sia i genitori separati che le coppie conviventi (che hanno figli) si separano davanti al Tribunale ordinario. Dal momento in cui inizia la separazione e fino alla sentenza è il tribunale ordinario a decidere a chi affidare i bambini e come regolare i rapporti dei figli con il genitore non convivente.

Per effetto della vis attractiva esercitata dall’art. 38 delle Disposizioni di Att. Codice Civile (come modificato dalla Legge 219/2012 e dal Decreto Leg. 154/2013) se discutiamo di comportamenti violenti, derivanti da una violazione dei doveri di responsabilità genitoriale o da abuso di poteri che recano grave pregiudizio alla prole minorenne, tali da giustificare l’ablazione, la sospensione (art. 330 Codice Civile) o la limitazione (art. 333 C.c.) della responsabilità genitoriale, tutte le controversie ex art. 330 e 333 C. c. – se è pendente la separazione/divorzio/giudizio di affidamento ex art. 316 – la competenza è del tribunale ordinario. Prima della causa o dopo la sentenza la competenza è del Tribunale per i Minorenni del luogo dove i minori abbiano la residenza abituale.

Può assegnare compiti ai servizi sociali o prescrivere a un genitore di iniziare una terapia come fa il Tribunale per i Minorenni. Prima che cominci la separazione o dopo la sentenza è invece il TM a decidere. In questi casi il Tribunale può:

-revocare/sospendere/limitare la potestà del padre violento, che abbia posto in essere comportamenti violenti contro la prole o che l’abbia semplicemente resa vittima di violenza assistita nei sensi declinati dalla Convenzione di Instanbul di cui sopra;

-disporre l’allontanamento della prole minorenne, eventualmente insieme alla madre se vuole;

-ordinare l’allontanamento del genitore abusante, disporre divieto di contatto, stabilire eventualmente che gli incontri con i figli avvengano in forma protetta davanti ai servizi sociali.

Si tratta di provvedimenti sempre modificabili e/o revocabili a condizione che le condotte violente cessino, che ci si adegui a un percorso di verifica e sostegno previsto dal Tribunale, a condizione che si manifesti disponibilità e impegno a seguire i suggerimenti del Tribunale e del Servizio sociale, percorsi di mediazione, terapia, affidamento al Centro di Salute Mentale o delle Tossicodipendenze quando ci siano disturbi del comportamento che dipendono da patologie o abuso di sostanze, alcol e droghe, gioco d’azzardo.

ARTT. 342 BIS e ter Codice civile e 736 bis Codice di Procedura civile

Ordini di protezione contro gli abusi familiari

L’allontanamento dell’aggressore può essere chiesto anche al tribunale ordinario del luogo di residenza o domicilio della donna che chiede aiuto, con una procedura piuttosto rapida chiamata ordini di protezione contro gli abusi familiari. Il presupposto è la convivenza e una condotta che sia causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro partner. Il giudice, con un decreto che può essere emesso anche inaudita altera parte (fissando entro quindici giorni udienza per la conferma modifica o revoca) ordina la cessazione della condotta pregiudizievole e l’allontanamento dalla casa familiare con l’eventuale prescrizione di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall’istante, il luogo di lavoro o di istruzione dei figli della coppia; il giudice può disporre l’intervento dei servizi sociali o di un centro di mediazione, oltre che delle associazioni che hanno come scopo statutario l’accoglienza di donne e minori, un assegno periodico a carico dell’abusante a favore delle persone conviventi che rimarrebbero prive di mezzi per effetto dell’allontanamento. Ha una durata massima di un anno, ha il pregio di essere più rapido rispetto al circuito penale. Scarsa applicazione, poco conosciuto, maggiormente praticato il ricorso alla denunzia-querela tra partner – efficace perché permette l’allontanamento immediato dell’abusante – scarsa ricaduta sul piano penale dunque positivo in caso di conflitto temporaneo e fisiologico alla crisi coniugale – più facile dal punto di vista probatorio in riferimento agli elementi oggettivi e soggettivi della fattispecie – dura un anno e incide sulla libertà personale ma non come misura restrittiva penale – avvio all’osservazione da parte dei servizi sociali.

 

 

LA VIOLENZA SULLE DONNE E SUI MINORI Riconoscere proteggere intervenire

Leggi la presentazione della relazione tenuta ad Ancona, 9 ottobre 2015 (apri il link).

 

 

XVIIe ASSISES NATIONALES DES AVOCATS D’ENFANTS, VERSAILLES – 4 E 5 NOVEMBRE 2016

Enfants dans tous leurs Etats – Regards européens croisés

 

L’avocat du mineur[1] Olga ANASTASIXVIIe assises nationales des avocats d'enfants (2)

 

Versailles 4-5 novembre 2016

Avant de parler de la représentation du mineur en justice, examinons les règles du code civil italien sur la capacité d’agir. Le principe général énoncé par l’art. 2 du Code civil est qu’on est capable d’accomplir des actes ayant des effets juridiques pertinents à 18 ans, tandis que des lois spéciales prévoient un âge inférieur pour certains actes. À compter de la majorité on acquiert la capacité d’agir, à savoir la possibilité d’exprimer sa volonté par des actes qui sont de nature à modifier sa situation juridique.

15002515_1241824525879625_2715785031611253238_oReprésentation substantielle

Avant d’atteindre la majorité, les enfants sont surtout représentés, pour l’exécution des actes civils et pour l’administration de biens (art. 320 du CC), par leurs parents (art 316 CC) ; ou à défaut par le tuteur, si les parents sont privés de l’autorité parentale. En cas de conflit d’intérêts ou en cas de désintérêt et d’inertie des (art 321 CC) parents dans l’accomplissement d’actes dans l’intérêt de l’enfant (art 320 cc, sixième alinéa), un curateur spécial est nommé. La spécificité de la représentation est de remplacer l’intéressé par une autre personne agissant en son nom pour répondre à un besoin supérieur de protection de ceux qui se trouvent dans une situation de faiblesse. Toutefois, le pouvoir de représentation des enfants n’est pas totalement libre. En effet pour accomplir des actes dépassant l’administration courante, comme l’amélioration d’actions judiciaires pour le compte des enfants mineurs, les parents sont tenus d’obtenir l’autorisation du juge des tutelles qui doit évaluer si cet acte, ou cette initiative, correspond à l’intérêt de l’enfant.

Représentation en justice

Celui qui exerce la fonction de représentant substantiel de l’enfant agit pour permettre la constitution en justice du représenté, la nomination d’un avocat et l’apport du mandat ad litem. L’article 75 du code de procédure civile prévoit que les personnes qui : « ont le libre exercice des droits invoqués. Les personnes qui n’ont pas le libre exercice doivent être représentées, assistées ou autorisées selon les règles qui régissent leur capacité» peuvent être présentées en justice. Dans de nombreux exemples, le mineur peut agir en justice de manière autonome : l’enfant émancipé est autorisé par le Tribunal à contracter un mariage (ex art. 84 CC) et peut être présenté à la justice aussi bien comme acteur que comme prévenu.

N’oublions pas que pour agir en justice, au nom et pour le compte des enfants, le parent, le tuteur ou le curateur spécial, sauf lors de procédures volontaires — où le représentant de l’enfant peut personnellement agir en justice— comme le rappelle l’art. 82 du code de procédure civile, ne pourra agir qu’avec le ministère et l’assistance d’un avocat. C’est le cas de toutes les procédures civiles à cognizione piena. C’est également le cas dans les procès au pénal où l’inculpé ne peut être jugé que s’il a un avocat (Art. 96 et 97 du code de procédure pénale). EXEMPLES : le mineur victime d’un accident a droit à réparation, mais ce sont ses parents, son tuteur ou curateur qui sont légitimes pour porter l’affaire devant le tribunal (sinon, le procès est annulé).

Toutes les fois où les parents ou le curateur ont besoin, pour agir en justice, des services d’un avocat (Art 82 du code de procédure civile), il leur faudra le choisir et le nommer lorsque l’avocat est obligatoire.

L’avocat du mineur

C’est dans cette perspective que s’inscrit l’avocat du mineur. Il défend, assiste et représente directement l’enfant (par exemple : l’avocat dans un procès pénal ou l’avocat désigné en tant que curateur spécial dans la procédure d’adoption), ou indirectement par la défense, l’assistance et la représentation des parents ou du curateur spécial, en tant que représentants légaux du mineur, y compris dans le cas d’assistance judiciaire gratuite de la part de l’État.

En Italie, il y a eu un intense débat sur la défense technique dans les procédures pour mineurs. Il a soulevé des questions éthiques et sociales sur la fonction même du barreau. Comme on sait, la Convention relative aux droits de l’enfant signée à New York le 20 novembre 1989 (ratifiée en Italie par la loi no 176 du 27 mai 1991) et la Convention européenne de Strasbourg sur l’exercice des droits des enfants, du 25 janvier 1996, (ratifiée par la loi no 77 du 20 mars 2003), ont précisé, promu et rendu applicable le droit du mineur à participer pleinement aux procédures le concernant sur la base de sa capacité de discernement.

La transposition de ces lois a permis de définir les modalités et principes pou15016265_1241824649212946_3302392622189978215_or concrétiser le droit de l’enfant à exprimer son opinion dans les procédures qui le concerne et permettre qu’il soit défendu par son représentant autonome lorsque les parents sont incapables de le représenter en raison d’un conflit d’intérêts entre les parents et l’enfant ou en raison du manque d’intérêt des parents ou s’ils sont privés de l’autorité parentale.

Ce changement s’appuie sur la réforme Constitutionnelle de 1999 (approuvée par la loi constitutionnelle no 2 du 23 novembre 1999) qui affirme le principe du procès équitable. Cette dernière établi un procès contradictoire entre les parties dans des conditions de parité et devant un juge tiers et impartial (art 111 alinéa 2 Constitution tel que modifié). Elle a ainsi stoppée la dérive inquisitoire des jugements pour mineurs, dans lesquels, au nom de la protection de l’enfant et de la rapidité de la procédure, le droit de la défense des parties était souvent « oublié ».

Innovation sur le plan procédural

Dans notre système juridique l’autorité judiciaire désigne pour le mineur un administrateur/ curateur spécial pour le représenter à la place de ses parents dans les procédures de quo. Dans notre pratique judiciaire, ce sont surtout des avocats qui sont désignés comme administrateur/curateur pour éviter au curateur spécial de nommer à son tour l’avocat qui plaidera.

C’est sur ce point que la réforme ouvre des perspectives de protection/tutelle de l’enfant, en valorisant le rôle de remplacement du curateur spécial apte à endosser également lors du procès[2] les fonctions de tutelle du mineur (dans le cas où le curateur n’est ni l’avocat, ni le parent, ceux-ci devront nommer un avocat).

La loi 149 du 28 mars 2001, qui prévoit l’obligation de désigner un avocat pour le mineur et les parents dans les procédures de limitation et de déchéance de l’autorité parentale et pour la déclaration d’adoption souligne elle aussi l’exigence d’une protection forte des droits de l’enfant. La nouvelle loi a donc rendu obligatoire l’assistance d’un avocat pour le mineur et ses parents, dans certains cas même d’office (c’est le résultat d’une valorisation complète et nécessaire du contradictoire dans le cadre des procédures civiles d’enfants en vertu des dispositions générales de l’art. 111 Constitution relatives au droit à un procès équitable et de l’arrêt de la Cour constitutionnelle no 1 du 30.01.2002).

Plus précisément, pour la déclaration d’adoptabilité, le législateur de 2001 a introduit une procédure à condition pleine qui valorise le débat contradictoire pour renforcer les garanties de toutes les parties. En particulier, dans la formulation introduite par la loi de réforme, le dernier alinéa de l’article 8 de la loi 184 de 1983 pose désormais comme principe que : « la procédure d’adoption doit dès le début avoir lieu avec l’assistance judiciaire du mineur et de ses parents ou d’autres membres de la famille (jusqu’au quatrième degré ayant une relation importante avec le mineur) ». Le deuxième alinéa de l’art. 10 de cette même loi prévoit que, lors de l’ouverture de la procédure, les parents et la famille doivent être expressément invités à désigner un avocat ; à défaut, un avocat commis d’office doit être désigné. Les articles 15 et 16 font référence au tuteur ou au représentant spécial de l’enfant (auquel doit être notifiée la décision prononçant l’État d’adoption). La fonction de l’avocat commis d’office est ainsi, pour la première fois, introduite en Italie dans une procédure civile.

En ce qui concerne les procédures de potestate (procédures de limitation et de déchéance de l’autorité parentale), l’article 37 de la loi 149 de 2001 a modifié l’article 336 du code civil en y ajoutant un dernier alinéa qui se lit comme suit : pour les mesures visées aux alinéas précédents, les parents et le mineur sont assistés d’un avocat. La réglementation se réfère aux procédures de contrôle de l’autorité parentale, de la totalité des affaires civiles relevant du Tribunal des mineurs.

Ces innovations réglementaires ont constitué une révolution copernicienne dans la justice civile des enfants en déchargeant le Tribunal des mineurs du rôle de seul protagoniste dans la protection des droits de l’enfant, de par sa fonction de juge tiers garant du contradictoire entre le ministère public, les parents et l’enfant lui-même. Mais il ne faut pas oublier que les lacunes réglementaires et les textes de réforme malheureusement imprécis, ont entraîné une variété de pratiques administratives sur le territoire.

Dans les procédures d’adoption et dans les procédures de limitation et de déchéance de l’autorité parentale (art 336 dernier CC dans le texte revu), la désignation de l’avocat de

l’enfant est toujours effectuée d’office par le Tribunal.15002510_1241824859212925_5807111632400617762_o

Grâce au jugement 11782 de 2016, la Cour de cassation est parvenue à régler la querelle sur le droit à la défense de l’enfant dans la procédure permettant son adoption, et a fait valoir que, en matière d’adoption, « la procédure visant à certifié l’adoptabilité DOIT se dérouler dès le début grâce à l’assistance judiciaire du mineur qui est partie à tous les effets de la procédure et qui, en l’absence d’une disposition spécifique, agit en justice par l’intermédiaire d’un mandataire selon les règles générales et donc par le biais du représentant légal ou, en cas de conflit d’intérêts, d’un administrateur spécial des entités responsables de la nomination d’un avocat technique. La nomination d’un administrateur spécial est également requise lorsqu’un tuteur n’a pas été nommé, ou qu’il n’existe pas encore, au moment de l’ouverture de la procédure, ou, dans l’hypothèse où il y aurait bien un conflit d’intérêts potentiel entre l’enfant et son représentant légal ». Un tel conflit, selon l’interprétation de la Cour, est révisable in re ipsa en relation avec les parents dont l’intérêt personnel peut être contradictoire avec celui du mineur ; tandis que dans le cas où le tuteur a été nommé, à moins que ne soient prouvées les circonstances concrètes de l’existence d’un conflit, il contraddittore nécessaire et jouit d’une légitimité autonome qu’il pourra exercer dans l’intérêt supérieur de l’enfant.

Par la suite la Cour, appelée à se prononcer sur l’interprétation des lois 184 et 83 ainsi que sur ses modifications ultérieures (notamment art. 8 alinéa 10 et 2), a démontré la volonté du législateur de considérer la participation du mineur ou de ses parents (c’est-à-dire en l’absence d’autres parents jusqu’au quatrième degré ayant un rapport significatif avec l’enfant) NECESSAIRE. Le législateur, poursuit la Cour, a voulu garantir à l’enfant et aux parents une assistance juridique en vue d’une véritable défense dans le procès.

La Cour dispose que lorsque le tuteur ne peut se présenter personnellement devant la justice, le Tribunal nomme un défenseur d’office ou un représentant spécial qui devra procéder à la nomination d’un avocat lorsqu’il est lui-même habilité. Par conséquent, la logique suivie par la Cour est d’annuler la procédure pour violation des droits de la défense de l’enfant et des règles relatives à un procès équitable lorsque « il contraddittorio » n’est pas garanti dans tous les actes de procédure.

Après l’entrée en vigueur des règles procédurales de la loi no 149/2001, en application du principe du procès équitable prévue à l’article 111 de la Constitution, en conformité avec les principes de la convention de Strasbourg de 25.1.1996, ratifiée par la loi no 77/2003, aucune loi n’a été adoptée concernant la préparation et la formation de l’avocat de l’enfant ni même en ce qui concerne les principes dont il doit s’inspirer dans le cadre de ces fonctions. Le code de déontologie forense à l’État, ne comporte pas non plus de règle spécifique sur les devoirs de l’avocat de l’enfant. Cependant, avec l’entrée en vigueur de la loi 149/2001, les avocats pour mineurs ont pris conscience de leur rôle fondamental et de l’intérêt constitutionnel qui garantit au cours du procès civil des mineurs la défense des intérêts et des droits de l’enfant et de la personne en formation, ainsi que la pleine compréhension des conséquences psychologiques et relationnelles qui vont de pair avec ce rôle.

15025157_1241824769212934_2008229579712419063_oEn ce qui concerne le curateur spécial/avocat du mineur dans les procédures d’adoption et de potestate, les lignes directrices élaborées par l’Union Nationale des Chambres/Tribunaux pour Mineurs (association à laquelle je participe activement au niveau national et local) lors du congrès national de Gallipoli de juin 2009 sont primordiales. Elles ont d’ailleurs été appliquées régionalement dans les différents protocoles des tribunaux pour mineurs, ce qui démontre une application concrète déjà à cette époque au niveau national par les avocats pour mineurs italiens. Ces principes ont ensuite été entérinés au niveau international lors de leur adoption par le Conseil des ministres du Conseil de l’Europe du 17 novembre 2010. Il y est prévu :

  • une formation spécifique, qualifiée et une réelle motivation ;
  • que soit évalué le meilleur intérêt du mineur dans le respect des droits qui lui sont garantis par la Constitution et les conventions internationales ;
  • des informations pour l’éventuel tuteur, éducateurs, professionnels de santé, à l’assistant social, aux sous-traitants et à toute autre figure jugée importante ; le maintien des relations avec le curateur spécial/avocat de l’enfant dans une procédure pénale;
  • l’avocat/curateur spécial de l’enfant fait le lien entre l’entité adjudicataire et les services sociaux et, si possible, évalue régulièrement le dispositif mis en place ; il nomme, s’il le juge nécessaire, un Conseiller Technique commis d’Office lorsqu’une expertise technique d’office est requise ;
  • s’il y a un risque juridique lors du placement de l’enfant, l’avocat/le curateur spécial du mineur est tenu au secret sur le lieu de résidence ou de domiciliation de l’enfant ;
  • l’avocat/représentant spécial de l’enfant participe à l’audition du mineur, sensibilise et fait en sorte que le mineur ne soit pas conditionné par la présence des parties et de leurs avocats au moment de l’audience ; il propose d’autres solutions pour que soit assuré aux parties le respect du droit à la défense et pour que le mineur puisse exprimer librement son opinion ;
  • lors de cette rencontre, l’avocat ou le curateur spécial de l’enfant fournit au mineur, s’il est capable de discernement, en termes compréhensibles, des informations et explications relatives à son propre rôle et à la procédure qui le concerne ; dans le cas où l’enfant souhaite exprimer ses idées, il avertira l’autorité judiciaire, tout en l’informant qu’en tant qu’avocat/curateur spécial, il devra émettre un avis qui prenne également en compte tous les autres éléments apparus au cours de la procédure, compte tenu de l’intérêt supérieur de l’enfant ;
  • En droit pénal Il existe aussi des dispositions permettant la représentation du mineur : l’article 121, P. prévoit que la plainte peut être déposée par un curateur spécial en l’absence du représentant légal ou lorsqu’il y a conflit d’intérêts entre le mineur et son représentant légal. Un mécanisme similaire est prévu pour l’acceptation de la remise d’une plainte. Dans toutes ces situations, même lorsque le curateur est nommé ad processum, la représentation de l’enfant relève de la représentation substantielle. Dans ces cas, en effet, le curateur ne joue pas de rôle technique et n’est pas habilité à exercer comme avocat. Par conséquent si le liquidateur n’est pas avocat, il faudra en nommer un pour toute action judiciaire. A un tout autre niveau se pose la question de la défense technique du mineur, qui fait partie de la représentation en justice, régie par les articles 82 et suivants du CPC dans les procès civils et, au pénal, par les articles 96 et suivants du code de procédure pénale. Ce type de représentation est de nature technique et rend nécessaire que toutes les parties impliquées dans la procédure, y compris le mineur aient un intermédiaire technique capable de dialoguer avec les autres parties et avec le juge, notamment par le biais du curateur ad processum, son représentant.

Rôle, fonction et déontologie de l’avocat dans les procès pour mineurs

Si on analyse les normes contenu dans le décret présidentiel qui présente le code de procédure pénale pour mineurs[3], on s’aperçoit immédiatement que le rôle procédural de l’avocat de l’enfant est tout à fait marginal et limité. En effet, dans la phase préliminaire de l’enquête dans la procédure pénale, son intervention est quasi inexistante, plus visible durant l’audience et quasi nulle au regard des institutions judiciaires qui nécessitent le contact direct avec les services de la justice pour mineurs (comme par exemple la mise à l’épreuve). Il suffit de lire le contenu de l’article 9 du DPR n° 448/1988[4] pour s’apercevoir que lors de la première étape de la procédure, l’avocat de l’enfant ne peut enquêter sur la personnalité, l’imputabilité et/ou la maturité, le niveau de responsabilité et la pertinence sociale du délit, domaines strictement réservés uniquement au juge et au ministère public.

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Cette inégalité de pouvoirs est tout à fait significative si l’on considère que le procès pénal des mineurs — à la différence du procès pénal des adultes — a pour but, non seulement de constater le délit, mais aussi et surtout, d’enquêter sur la personnalité de l’enfant afin de le faire sortir le plus rapidement possible du circuit pénal. Finalement tout se passe comme si l’avocat de l’enfant était considéré et traité avec méfiance, voire comme s’il agissait contre l’intérêt de l’enfant.

La caractérisation inquisitoire du processus judiciaire pour les mineurs fait jouer au défenseur un rôle secondaire dans le processus de sa réinsertion. En revanche, il existe de nombreux avocats pénalistes formés dans les tribunaux ordinaires qui, peu sensibles aux dynamiques du procès pénal juvénile, <<<<se concentrent presque exclusivement sur les aspects liés à la constatation du délit et à la preuve de la responsabilité, conformément à la logique de l’opposition procédural, typique du processus accusatoire des adultes>>>>, alors que l’avocat de l’enfant devrait être en mesure de trouver un juste équilibre entre les deux exigences dont il est porteur : 1) exercer pleinement les droits de la défense, tant dans l’enquête sur la personnalité que dans celle sur la réalité du délit, afin de faire sortir au plus vite l’enfant du circuit pénal ; <<<<2) ne pas exaspérer l’application du principe du contradictoire à caractère accusatoire, tout en respectant pleinement la fonction éducative du procès pénal des mineurs, qu’il doit faciliter et ne jamais entraver.>>>>

L’approche initiale de l’avocat est essentielle : avant même d’expliquer les options procédurales et leur signification à l’enfant, il doit vérifier si les conditions pour s’engager dans la voie de la médiation pénale sont rassemblées. L’avocat du mineur doit avoir une «approche» sensible et qualifiée des questions de justice pénale juvénile. La déontologie et le professionnalisme de l’avocat de l’enfant doivent être réels (et non purement formels), tandis que la spécialisation doit consister en un parcours concret et obligatoire qui implique également <<<la défense de confiance>>>. Il faut des instruments plus modernes et efficaces pour limiter ou réduire le risque que celui qui assure la défense de l’enfant, même en présence d’une relation fiduciaire, ne soit pas <<<doté des compétences (extra-juridiques) nécessaires>>>.

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Face à un éventuel conflit d’intérêts entre l’enfant et sa famille d’appartenance, l’attitude de l’avocat est également primordiale. Le défenseur doit toujours, et en tout état de cause, protéger et sauvegarder l’intérêt supérieur de l’enfant qu’il représente et non pas celui des parents qui lui ont donné mandat (desquels il reçoit, par ailleurs, une contrepartie financière). Le défenseur devra donc agir sur deux fronts : d’une part, aider l’enfant et ses parents à comprendre exactement le sens des stratégies possibles de la procédure. Et d’autre part, dans l’intérêt du mineur, il devra également aider les parents à choisir la voie qui paraît globalement la plus adéquate pour résoudre idéalement de manière définitive, les problèmes dont l’infraction a été le symptôme.

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Rémunération et choix de l’avocat du mineur

En Italie, l’enquête sur l’avocat de l’enfant peut être faite grâce par une rapide synthèse des modalités de sa nomination et de sa rémunération de l’avocat de l’enfant conformément à la réglementation sur l’aide juridictionnelle. C’est en l’occurrence la partie législative qui garantit le droit inaliénable à la défense procédural pour ceux qui, par la particularité de leur statut, sont considérés comme «faibles» par l’ordre juridique. L’Institut de l’aide juridictionnelle[5] se base sur la protection du droit inviolable à la défense pour la personne dépourvue de moyens économiques et qui, par conséquent, a le droit de choisir un avocat de confiance. Ce droit fondamental de la défense est garanti à chaque étape du processus, y compris dans le cadre des procédures d’exécution. La condition essentielle pour bénéficier de l’aide juridictionnelle est en premier lieu la condition <<<d’insolvabilité >>>. Cette condition particulière est remplie lorsque le revenu annuel imposable, attestée par la dernière déclaration, n’excède pas 11 528,41 euros, montant valable pour tous les membres de la famille, y compris le requérant, pour une même période de temps. <<<Les demandes en justice formulées ne doivent pas être manifestement infondées>>>.

Dans le système actuel, la nomination et la rémunération de l’avocat de l’enfant varient selon qu’il exerce dans une procédure pénale ou civile. En particulier, dans les procès au pénal pour les mineurs, les modalités de rémunération de l’avocat varient en fonction des modalités de désignation de l’avocat, qui peut être nommé par les parents, par l’enfant ou par l’autorité poursuivant l’infraction.

Si le mandat de défense a été donné par les parents dans leur rôle de représentants de l’enfant mineur, ce sont eux qui paient l’avocat choisi sur la base de la règle générale ; c’est aussi valable dans les <<<tribunaux pour mineur>>>, où le défenseur de confiance est rémunéré par la partie qui l’a nommée. Il en résulte que, pour la satisfaction d’éventuelles créances de nature professionnelle, l’avocat désigné agira à <<<leur>>> égard en qualité de celui qui exerce l’autorité parentale.

Si, en revanche, c’est l’enfant soupçonné ou poursuivi qui nomme son défenseur de confiance, le professionnel devra agir envers les parents, mais cette fois en leur qualité de représentants légaux de l’enfant. En tout état de cause, le défenseur de confiance, nommé par l’enfant ou ses parents pourra être désigné – lorsque les conditions décrites ci-dessus sont réunies – même avec l’aide juridictionnelle ; dans ce cas, la rémunération de l’avocat de l’enfant sera versée directement par le magistrat.

Toujours dans le cadre du procès pénal, la désignation de l’avocat commis d’office, ou d’un avocat désigné par le juge (article 97 CPP) diffère lorsque l’accusé n’en a pas désigné un de confiance. Dans ce cas de figure, il faut se référer au décret présidentiel 488 du 22 septembre 1988 qui, à l’article 11 stipule que « conformément à l’article 97 du CPP, le Conseil de l’ordre des avocats établit les listes des défenseurs spécialisés dans le droit des enfants », des avocats choisis parmi ceux disposant d’une préparation spécifique et ayant exercé la profession d’avocat devant l’autorité judiciaire pour mineurs ou ayant effectué une formation de mise à jour ou de perfectionnement spécifiques[6].

Dans le procès civil, la nomination et la rémunération de l’avocat de l’enfant peuvent être effectuées par le mineur concerné, par ses parents, ou bien par l’autorité judiciaire.

Le défenseur de confiance peut être nommé par les parents grâce à une procuration en matière de poursuites ou de défense, lors d’une quelconque action civile au nom de, ou pour le compte du mineur, ou bien être nommé par les parents mais avec l’admission au bénéfice de l’aide judiciaire : il est évident que la charge des frais de justice ne peut que reposer sur les parents, en application du principe général de représentation et responsabilité parentale pour tout ce qui concerne les enfants mineurs (article 320 du code civil).

Un avocat commis d’office a même été prévu par le juge lors d’un procès au civil : c’est ce qui se passe lorsqu’un administrateur spécial est désigné par le juge, ou encore dans les cas prévus par le code civil (actions de status) ou en cas de conflit d’intérêts ou d’inaction des parents et dans les procédures d’adoption. Dans ce cas, sans préjudice du recours à l’égard des parents, l’inscription préliminaire de l’aide juridictionnelle est toujours recevable.

[1] Traduction de Judith CAHEN

[2] Article 82 du code de procédure civile.

[3] N° 448 de 1988.

[4] Le ministère public et le juge rassemblent des éléments sur les ressources personnelles, familiales, le contexte sociales ainsi que l’environnement du mineur afin d’établir l’imputabilité et le degré de responsabilité, d’apprécier la pertinence sociale du fait, d’ordonner les mesures pénales appropriées et de prendre les mesures civiles.

[5] Régi par le Texte unique sur les frais de justice (D.P.R. 30/05/2002 n° 115) et spécifié dans les articles 74 à 145.

[6] Approbation des dispositions sur la procédure pénale à l’encontre des inculpés mineurs.

L’ANALISI DEI LEGALI MINORILI SULLE PRASSI GIUDIZIARIE

L’analisi dei legali minorili sulle prassi giudiziarie evidenzia l’eterogeneità degli strumenti legislativi. Famiglia e minori, la ricerca dell’Unione Nazionale Camere Minorili di E. Pasquini, i DOSSIER di Guida al Diritto, 22 dicembre 2012. Il FORMAT SCUOLA si mette in gioco.

Il diritto accompagna la vita di ogni essere umano fin dall’infanzia e disciplina la maggior parte dei comportamenti, individuali o sociali. Qualsiasi norma, per avere attuazione, non può essere semplicemente accompagnata dalla sua coercibilità, ma deve essere espressione di un precetto che il destinatario riconosce come proprio. Attraverso le buone prassi del format scuola dell’Unione Nazionale delle Camere Minorili i bambini e adolescenti sono messi in grado di conoscere le regole che guidano i rapporti della convivenza e, soprattutto, di interiorizzarle. L’idea, portata avanti dal settore psicosociale dell’associazione (referente del progetto scuola dal 2012 al 2016 l’avvocato Olga Anastasi) è quello di costituire un gruppo multidisciplinare di avvocati, magistrati, psicologi, educatori con l’obiettivo di coinvolgere il mondo universitario e i dipartimenti ministeriali competenti nella sottoscrizione di protocolli di diffusione.

Leggi l’articolo su Guida al Diritto, dossier 22.12.2012, le ricerche UNCM.

GLI INTERESSI MOTIVANO LA GENTE, SONO I MOVENTI SILENZIOSI DIETRO IL BACCANO DELLE POSIZIONI

Per aiutarti meglio a distinguere gli interessi dalle posizioni e per aiutarti a pensare a quali siano davvero i tuoi obiettivi personali, abbiamo predisposto un elenco di esempi riguardanti obiettivi comuni o interessi che i clienti esprimono solitamente in caso di divorzio.

OBIETTIVI E INTERESSI RIFERITI AI BAMBINI

Poiché la presenza di prole ha un impatto significativo sugli obiettivi e interessi in una separazione, abbiamo diviso questa sezione in due categorie, a seconda che gli obiettivi siano riferiti alle esigenze dei bambini oppure no. Se hai figli, può risultare relativamente facile pensare ad alcune cose generali che vuoi per loro. Qui alcuni esempi da considerare.

Obiettivi generali riferiti al benessere dei bambini

Voglio che i nostri figli abbiano una buona sistemazione.

Voglio che i nostri figli siano felici.

Voglio che i nostri figli si sentano bene.

Obiettivi riferiti alle cure da parte dei genitori

Tempo paritario e consistente per entrambi per provvedere alla cura dei nostri figli.

Tempo paritario e consistente in disciplina, aspettative, conseguenze, orari di rientro, lavori domestici, tempo di metterli a letto, eccetera.

Comuni regole di educazione in entrambe le abitazioni.

Sostegno reciproco nelle decisioni da assumere per i figli.

Obiettivi riferiti ad abilità genitoriali

Voglio sviluppare meglio le mie abilità genitoriali.

Voglio che il mio coniuge migliori le sue capacità genitoriali.

Voglio capire meglio ciò di cui i bambini hanno bisogno quando vivono i genitori si separano.

Obiettivi riferiti all’organizzazione del tempo con i genitori

Voglio che i nostri figli mantengano contatti significativi con entrambi i genitori.

Non voglio stare lontana dai bambini per più di quattro giorni consecutivi.

Obiettivi riferiti all’assunzione di decisioni

Voglio partecipare alle decisioni più importanti che riguardano la vita dei nostri figli.

Obiettivi riferiti al mantenere i bambini fuori dal conflitto

Voglio che i nostri figli siano tenuti fuori dal conflitto.

Voglio evitare che i nostri figli si sentano in dovere di riferire di un genitore all’altro genitore.

Voglio evitare che le questioni economiche ci facciano perdere di vista i nostri obblighi genitoriali.

Voglio che i nostri bambini si sentano a proprio agio nel parlare di come sono stati bene durante il tempo in cui sono stati con l’altro genitore.

Obiettivi riferiti alla relazione che i bambini avranno con altri adulti

Voglio che i nostri figli abbiano relazioni appropriate con i nuovi partners.

Voglio essere sicuro che nella vita dei bambini non siano introdotti nuovi adulti finché i bimbi non sono pronti.

Obiettivi riferiti alla flessibilità nel calendario

Voglio che il calendario delle visite sia elastico così da poter adeguare alle esigenze dei bambini i giorni in cui sono previste.

Voglio avere la possibilità di trasferirmi insieme a loro.

Obiettivi relativi alla stabilità

Voglio che il calendario delle visite fornisca stabilità ai bambini.

Voglio che il calendario delle visite sia praticabile.

Voglio la certezza che ogni genitore rispetti il calendario stabilito.

Voglio che i bambini vivano vicini a entrambi i genitori.

Voglio essere sicura che i bambini possano continuare a frequentare la loro scuola.

Obiettivi relativi alla comunicazione con l’altro genitore

Voglio poter comunicare efficacemente con l’altro genitore riguardo a cambi di calendario, aggiornamenti sulla salute, sulla scuola, su attività, regole genitoriali importanti, etc.

Voglio sviluppare migliori capacità comunicative.

Voglio che entrambi i genitori abbiano accesso alle informazioni che riguardano la scuola, le questioni mediche, ecc.

Voglio avere regolari comunicazioni sul calendario degli impegni.

Voglio che entrambi i genitori rispettino le regole di base per una comunicazione rispettosa.

Obiettivi riferiti alla comunicazione con i bambini

Voglio che entrambi i genitori possano comunicare regolarmente con ogni figlio per telefono e via e-mail.

Voglio rispetto nell’intrattenere comunicazioni sui nostri figli.

Voglio evitare che i nostri figli ascoltino cose negative su un genitore da parte dell’altro.

Obiettivi che riguardano la cura dei figli

Voglio ridurre al minimo le comunicazioni che riguardano i figli.

Voglio mantenere una qualità alta nella cura dei figli.

Voglio che entrambi i genitori condividano le decisioni che riguardano la cura dei figli.

Obiettivi che riguardano la fede

Voglio che i nostri figli siano educati secondo la loro religione.

Voglio che frequentino regolarmente la chiesa.

Voglio che entrambi i genitori siano coinvolti nelle attività religiose dei nostri figli.

Obiettivi che riguardano la salute fisica e le cure mediche

Voglio che i bambini seguano una corretta alimentazione.

Voglio che facciano attività fisica.

Voglio che entrambi i genitori abbiano accesso alle cure sanitarie e odontoiatriche.

Voglio che entrambi i genitori siano in grado di accompagnare i figli a visite mediche.

Voglio che entrambi i genitori condividano la cura dei bambini quando sono malati.

Obiettivi riferiti alla educazione

Voglio che i nostri figli sia in grado di continuare con la scuola attuale.

Voglio che entrambi i genitori possano partecipare alle attività scolastiche.

Voglio che i nostri figli frequentino una scuola determinata.

Voglio che i nostri figli mantengano la stessa media.

Voglio che i nostri figli frequentino l’Università.

Voglio che entrambi i genitori sostengano gli stessi obiettivi educativi.

Voglio che entrambi possano aiutare i bambini nei compiti a casa.

Obiettivi riferiti alle attività, lezioni di musica, sport, etc.

Voglio che i nostri figli continuino a seguire le loro attività extrascolastiche.

Voglio che entrambi i genitori condividano le future attività dei bambini e le sostengano.

Obiettivi riferiti al bagaglio culturale

Voglio la certezza che i bambini siano cresciuti assecondando la loro cultura di appartenenza.

Obiettivi riferiti alle questioni economiche generali

Voglio che i bambini mantengano in entrambe le abitazioni lo stile di vita di prima.

Voglio che possano essere economicamente responsabili.

Voglio poter mettere da parte quanto necessario per mandarli all’Università.

Voglio un accordo che preveda come pagheremo l’Università.

Obiettivi riferiti alla condivisione delle spese per i bambini

Voglio che entrambi i genitori condividano le spese per i figli in proporzione alle proprie entrate.

Voglio trovare un modo semplice per condividere le spese.

Il titolo è tratto da Roger Fisher, William Ury, Bruce Putton, Getting to Yes: Negotiating Agreement Without Giving In, Penguin Books, New York 1991.

L’elenco è tratto da Stuart G. Webb, Ronald D. Ousky, The Collaborative Way to Divorce. The Revolutionary Method That Results in Less Stress, Lower Costs and Happier Kids – Without Going to Court, Hudson Street Press, New York 2006, Appendix E, Traduzione di Olga Anastasi @ Tutti i diritti riservati.

 

IL LAVORO DEI PROFESSIONISTI COLLABORATIVI – di Alessandra Hopps

La separazione e il divorzio costituiscono per molte coppie uno dei momenti più difficili e decisivi di tutta la vita. Sono eventi che generano sentimenti di profonda afflizione, sofferenza, rabbia, rimorso e tristezza. Questi sentimenti sono difficili da evitare in un processo caratterizzato da senso di sconfitta, conflitto, tradimento della fiducia e difficoltà economica. Questo vale sia per gli adulti che per i figli.

I coniugi che si trovano ad affrontare la separazione o il divorzio hanno diverse questioni da risolvere, ma alcune delle più importanti sono: 1) Starò bene?, 2) Ci sarà mai fine al senso di disordine che regna nella mia vita?, 3) C’è un modo tale per cui ogni membro della famiglia trovi un punto di incontro riguardo ai rispettivi bisogni di tipo economico?

Queste sono domande molto importanti che tutti coloro che intraprendono una separazione o un divorzio sembrano porsi. Sebbene all’inizio tale situazione possa sembrare schiacciante sotto il profilo emotivo, è fondamentale tenere a mente che guardare alle cose da affrontare come ad un insieme di impegni realistici è più appropriato. E poi bisogna ricordare che la separazione o il divorzio sono come ogni altra fase di transizione nella vita: possono anche portare sollievo, crescita e ripresa.

L’obiettivo dei professionisti collaborativi è quello di aiutare le coppie non solo a sopravvivere, ma ad arrivare alla fine del percorso con un risultato che sia un buon punto di partenza per il futuro. Questo traguardo è raggiunto grazie alla possibilità di avere l’aiuto di professionisti in grado di assistere la coppia rispetto ad ogni ambito del percorso di separazione.

Il divorzio è usualmente percepito come un procedimento giudiziario. I coniugi conferiscono l’incarico ad avvocati, verosimilmente finiscono in tribunale e ne escono con un documento ufficiale che segna la fine del matrimonio secondo l’ordinamento giuridico (anche se le coppie con figli sanno che la loro relazione genitoriale continuerà per il resto della vita). I professionisti collaborativi sanno che la separazione e il divorzio sono molto più che un procedimento giudiziario: si tratta di un viaggio a livello emotivo, spirituale e perfino finanziario che include anche un passaggio giudiziario, che però non è altro che una tappa. Così come il matrimonio è molto più che un documento, il procedimento di divorzio è molto più della semplice sottoscrizione dell’accordo finale.

I professionisti collaborativi offrono strumenti che aiutano le famiglie ad identificare e gestire tutte le questioni del procedimento di divorzio:

L’elaborazione del lutto dovuto alla perdita
I cambiamenti economici immediati e le pianificazioni per il futuro
Le migliori opzioni per crescere insieme i figli nel futuro
Tutti i passi necessari da compiere dal punto di vista legale
Ruolo dei professionisti collaborativi

Avvocati

Aiutano a risolvere le questioni legali della separazione o del divorzio, secondo il vigente ordinamento giuridico. Lavorano con entrambi i coniugi per la stesura della bozza di accordo e per individuare la gestione dei figli.

Esperti finanziari

Aiutano la coppia a risolvere le questioni legate a redditi, rendite, investimenti e mutui.

Solitamente lavorano con la coppia in assenza degli altri professionisti collaborativi fino al momento in cui le varie questioni sono risolte e si può procedere con gli avvocati alla stesura dell’accordo.

Psicologi

Incontrano i coniugi e i figli in assenza degli altri professionisti collaborativi, per individuare i bisogni fondamentali della futura relazione genitoriale.

Esperti finanziari e psicologi sono professionisti neutrali che generalmente si relazionano con gli avvocati, per riferire dei loro incontri con la coppia, e occasionalmente partecipano agli incontri a quattro, se ciò è stato concordato con i coniugi.

Alessandra Hopps è avvocato collaborativo, segretario della Camera Minorile Picena, aderente all’Unione Nazionale Camere Minorili, nonché segretario del Gruppo di Pratica Italiano di Pratica Collaborativa, associato all’International Academy of Collaborative Professionals, esercita presso il foro di Ascoli Piceno.

alhopps@libero.it – Corso Mazzini n.229 Tel.0736.263550 Cell.339.5913678

QUESTIONE DI SCELTE

opzioni per la risoluzione del conflitto

Lo schema illustra le opzioni che hai a disposizione per separarti, divorziare o effettuare modifiche alle condizioni già stabilite. Mostra anche il grado di coinvolgimento e quanto puoi essere determinante nell’assunzione delle scelte. La vera vittoria, con il metodo collaborativo, è diventare capaci di assumersi le proprie responsabilità, di orientarsi e risolvere il caso più di quanto non lo siano, nel processo tradizionale, giudici, avvocati o mediatori.

Nel modo di agire consueto c’è il vantaggio, in caso di fallimento, di attribuirne la responsabilità ad altri: l’avvocato, l’altro coniuge, il sistema giudiziario, la legge.

Certo, devi chiederti se ne hai voglia, se ti senti in grado di riconoscere tuoi eventuali errori e di risolvere le difficoltà insieme all’altro coniuge e ai vostri avvocati.

Il rischio di veder naufragare il processo Collaborativo sta nel credere che il successo della propria separazione dipenda dall’avvocato, come nel metodo tradizionale, in cui si ritiene che la vittoria in causa dipenda dall’eccezione processuale o dalla norma che il buon legale conosce e sa utilizzare.

Una buona separazione si ottiene anche quando il tuo avvocato e gli altri professionisti incaricati ti avranno trasmesso il modo di risolvere i tuoi conflitti e di tessere la trama di una nuova esistenza basata sulla consapevolezza che, con l’accettazione di sé e dell’altro, puoi ritrovare un’armonia persino più profonda di quella precedente sulla quale la tua unione si basava.

Olga Anastasi, Il Divorzio Collaborativo, Ascoli Piceno, 2014 @ Riproduzione riservata

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VERSAILLES 4-5 NOVEMBRE 2016 LES ENFANTS DANS TOUS LEURS ETATS REGARDS EUROPEENS CROISES

XVIIe ASSISES NATIONALES DES AVOCATS D’ENFANTS, VERSAILLENS – 4 E 5 NOVEMBRE 2016

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