«Il bambino sa, dato che sente e intende, come l’asino. Entrambi camminano lentamente, talvolta si fermano: si dice allora che sono capricciosi, testardi, ma essi sono semplicemente in cammino. Riflettono, la lentezza si addice a loro, rifiutano la corsa sfrenata, così cara al nostro secolo. Amano vivere il momento presente, non il tempo che muore, ma quello che nutre e aiuta a lavorare pienamente, a dare il meglio di se stessi; entrambi sono coraggiosi». Jacqueline Morineau (Il mediatore dell’anima, Servitium 2010, pag. 28-29) racconta del suo nipotino che, sin dalle prime parole, si presentava come “l’asino” e della tradizione africana secondo cui ai bimbi appena dati si dà il nome di animali mentre solo a sette anni ricevono il loro nome definitivo e dunque la piena identità. Testarda eppure tenace, coraggiosa e in cammino è la bambina, oramai quindicenne la quale, nel giudizio per l’attribuzione del cognome paterno ex art. 262 codice civile, al giudice dichiarava: «Biologicamente è mio padre, ma io non lo voglio. Nessuno me ne ha parlato male… Non lo voglio e basta. Io non ci riesco a volerlo. Non lo vedo da mesi, io sto bene senza di lui…». Nella sentenza de quo, la Suprema Corte ha precisato che “Il diritto al nome costituisce uno dei diritti fondamentali della persona e ciò che rileva non è l’esigenza di rendere la posizione del figlio nato fuori dal matrimonio quanto più simile possibile a quella del figlio di coppia coniugata, quanto piuttosto quella di garantire l’interesse del figlio a conservare il cognome originario se questo sia divenuto autonomo segno distintivo della sua identità personale in una determinata comunità”. I cattivi rapporti tra padre e figlia, i tentativi condotti anche con l’ausilio dei Servizi Sociali, il fatto storico dell’età della ragazza, già in fase pre-adolescenziale, sintomatico di un potenziale inserimento e consolidato inserimento in una rete di relazioni sociali e della capacità ad avere una marcata cognizione identitaria del sè, espressa dal cognome materno che la individuava dalla nascita” hanno fatto propendere per la decisione di mantenere alla stessa solo il cognome materno, senza l’aggiunta di quello del padre.
In foto Marta Sesana, C’è chi vola. Olio su lino, 150×201 cm, 2018. Per gentile concessione di www.eccellentipittori.it – Tutti i diritti riservati.
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