Alice: “Per quanto tempo è per sempre?”
Bianconiglio: “A volte, solo un secondo”. (Lewis Carroll)
Accade di frequente che un genitore – senza nemmeno fissare una scadenza – conceda in comodato al proprio figlio un immobile di sua proprietà, nel mentre costui convola a nozze o mette al mondo finalmente l’agognato erede, immobile che per la legge diventa casa familiare, con tutto ciò che ne consegue per diritto di abitazione e godimento. Tutto bene finché conviene. Se poi invece la coppia scoppia e con la separazione dei coniugi l’appartamento è assegnato giudizialmente di solito alla nuora, affidataria preferenziale della prole, il suocero reclama il rilascio perché ha cambiato idea. Nel concedere l’uso dell’immobile scorrevano, nella vitalità della famiglia, dialoghi sotterranei, equilibri affettivi, economici e sociali che la separazione sovverte. Se il comodante vuole riottenere la disponibilità dell’appartamento, il giudice è tenuto ad accertare che perduri, nell’interesse dei figli conviventi minorenni (o maggiorenni non autosufficienti), la destinazione del bene all’uso cui è stato adibito, dovendo, in caso contrario, ordinarne la restituzione, quanto meno parziale. In un siffatto contratto è comunque implicito e sotteso un vincolo di destinazione alle esigenze abitative dei familiari anche oltre la crisi, a termine indeterminato.
In allegato la sentenza della Corte di Cassazione, Sezione I civile, 2 Febbraio 2017, n. 2771 2771.2017
In foto Stefano Di Stasio, Dialogo sotterraneo. Olio su tela, 2018. Per gentile concessione di www.eccellentipittori.it Tutti i diritti riservati.