Il Diritto Collaborativo riesce a convincere le parti che la vera vittoria, in una separazione, è diventare capaci di assumersi le proprie responsabilità. Non conta di chi sia l’iniziativa della separazione né chi sia responsabile del fallimento del matrimonio perché, grazie a questo tipo di processo si diventa capaci di orientare le proprie scelte e risolvere il caso, più di quanto non lo siano, nel processo tradizionale, giudici, avvocati o mediatori. Nel modo di agire consueto c’è il vantaggio, in caso di fallimento, di attribuirne la responsabilità ad altri: l’avvocato, l’altro coniuge, il sistema giudiziario, la legge e ciò può dare temporaneamente sollievo. Per comprendere se si è adatti alla pratica Collaborativa occorre chiedersi se si è disponibili ad accettare le proprie responsabilità, impegnandosi a risolvere le difficoltà insieme all’altro coniuge e ai rispettivi legali. Il rischio di veder naufragare le trattative è insito nella tendenza a credere che il successo della propria separazione dipenda dall’avvocato, come nel metodo tradizionale, in cui si ritiene che la vittoria in causa dipenda dall’eccezione processuale o dalla norma che il buon legale conosce e sa utilizzare. Nello sconvolgimento emotivo determinato dalla decisione di separarsi i pensieri si concentrano su questioni urgenti e su problemi che necessitano di soluzioni immediate. Con la formazione in diritto Collaborativo invece l’avvocato chiede al proprio assistito di distogliere l’attenzione dai problemi che sembrano improcrastinabili e di concentrarsi sulle questioni che potrebbero rivelarsi determinanti nel lungo periodo.
La separazione personale di solito viene affrontata come una questione esclusivamente giuridica. Nel processo tradizionale si trascurano gli aspetti emotivi di una relazione che non funziona più e che ha bisogno di essere sovvertita nelle modalità di interazione. Il primo passo importante è blandire la violenza dei sentimenti di ostilità e non indirizzarli verso l’altro coniuge, per non vanificare la possibilità di un accordo duraturo. Comprendere le dinamiche relazionali della coppia durante il matrimonio implica il misurare la fiducia reciproca, la tendenza a recriminare, la pretesa di controllo sull’altro. Talvolta si tratta semplicemente di uno sbilanciamento di potere: spesso uno dei coniugi ha un ruolo dominante che può dipendere da vari fattori come la disponibilità finanziaria o lo status sociale di origine, l’abilità nel controllare le proprie emozioni o la formazione culturale e intellettuale. La coppia deve essere aiutata a creare un ambiente sereno in cui sentirsi a proprio agio, senza che nessuna delle parti eserciti forme di intimidazione o di indebito controllo sulla trattativa. Nessuno deve sentirsi spaventato, obiettivi e aspirazioni devono poter essere espressi in tranquillità e senza timori di rappresaglie. Le parti debbono sentirsi libere di valutare le proposte e di avanzare obiezioni, con l’espresso divieto di scambiarsi accuse e offese perché, se è naturale provare rabbia e altri sentimenti negativi, questi, d’altro canto, ostacolano la possibilità di considerare la soluzione migliore. Gli avvocati e gli altri eventuali professionisti devono aiutare la coppia a recuperare la capacità di comunicare, consolidandola.
Dal punto di vista terminologico nella negoziazione l’interesse-desiderio è il bisogno primario connesso agli obiettivi centrali della vita di una persona, mentre la posizione-pretesa è una manifestazione di volontà non necessariamente connessa a un bisogno. Distinguere tra posizione-pretesa e interesse-desiderio è importante nell’ambito delle questioni finanziarie o del tempo da trascorrere con i figli. Un esempio molto comune è l’asserzione “voglio l’affidamento esclusivo dei figli” in cui, sebbene l’interesse-desiderio del genitore sia trascorrere del tempo significativo con la prole, egli assume automaticamente la posizione-pretesa piuttosto che pensare a come potrebbe soddisfare il suo bisogno, a prescindere dalla definizione legale.
Se si mette la coppia in condizioni di indagare le motivazioni di fondo non attraverso il linguaggio giuridico, che raramente si comprende, ma con il dialogo strategico e il linguaggio assertivo, è più facile che essa ottenga i risultati attesi. Al cliente spesso non è chiara la motivazione sottesa a una specifica pretesa che talvolta non coincide, o addirittura è in contrasto, con i suoi reali bisogni e i valori in cui crede. Può accadere che la parte constati che la posizione-pretesa coincide piuttosto con l’inconscia volontà di creare un contesto vinto-vincitore cui può rinunciare, perché non indispensabile alla soddisfazione del suo interesse-desiderio.
Olga Anastasi © Riproduzione riservata
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