È lunedì, si riapre l’agenda, l’orario della settimana delinea l’andamento di ciò che sarà.
Visualizzo mentalmente gli appuntamenti su cui concentrarmi e capisco che per spiegare a tutti, come voglio, in quale direzione camminare, devo raccontarvi un po’ di storia della strada già percorsa.
<<Il diritto collaborativo nasce da un’intuizione di Stuart G. Webb, avvocato matrimonialista che a Minneapolis nel Minnesota, alla fine degli anni Ottanta, dopo oltre vent’anni di professione, aveva constatato gli effetti nefasti di avvicinarsi ai conflitti familiari con il metodo contenzioso e con gli strumenti giudiziari abituali, che conducono al processo una patologia ormai conclamata della vicenda affettiva. Aveva verificato personalmente il rischio di essere assorbiti dal conflitto, la tendenza a riflettervi le proprie emozioni e reazioni, la difficoltà a rimanere distaccati, la propensione spontanea ad alimentare le ostilità suggerendo strategie sempre più invasive, tipiche di processi lunghi e combattivi. Aveva utilizzato nel corso del tempo gli strumenti giuridici a disposizione adatti a mettere in difficoltà le controparti, finché si rese conto che tenere il conflitto dei coniugi lontano da un’aula di tribunale, riservare gli aspetti emotivi della relazione di coppia a esperti di altre discipline, distinguere tra avvocati della “negoziazione” e avvocati della “causa” erano elementi essenziali affinché la coppia riuscisse a raggiungere un accordo durevole>>.*
Mentre viveva una profonda crisi professionale e pensava di iscriversi alla facoltà di psicologia, decise di scrivere una lunga lettera a Sandy Keith, un giudice che si occupava di mediazione. Era il 14 febbraio 1990: in quella lettera, spiegando nel dettaglio la sua idea, Stu Webb aveva già tratteggiato tutte le caratteristiche vincenti del metodo collaborativo.
*tratto da O. Anastasi, Il Divorzio Collaborativo, Ascoli Piceno, 2014 @ Riproduzione riservata
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