Sembra uno scioglilingua, è solo una locuzione latina che invita ad aspettare il momento opportuno. La crisi coniugale vede la coppia arroccata su posizioni antitetiche; di solito uno dei coniugi vuole definire il divorzio in tempi rapidi, mentre l’altro ha difficoltà ad accettare la fine del matrimonio. Chi decide di separarsi (leaver) ha già attraversato e superato la fase dolorosa della scelta, conscio della fine del matrimonio, e desidera concluderne il processo. Chi subisce la decisione (left) è invece preso da sentimenti di rabbia, rifiuto, abbandono, spera in una riconciliazione, teme il futuro, perciò rifiuta o vorrebbe procrastinare il divorzio.
L’avvocato collaborativo non accelera i passaggi, riconosce che esistono i tempi del cosiddetto divorzio psicologico e di quello legale, spiega al “leaver” che occorre rallentare per consentire al “left” di elaborare il proprio stato emotivo. Comprendere i tempi del divorzio psicologico riduce i rischi di abbandono della trattativa. Per firmare un accordo duraturo è necessario che entrambi i coniugi abbiano raggiunto un paritetico livello di consapevolezza, quando il conflitto si è affievolito, quando entrambi hanno maturato l’accettazione della fine del matrimonio, quando si riesce a delineare una condivisione di soluzioni. Se la coppia ha figli, quando entrambi i genitori avranno compreso che, finito il matrimonio, si resta famiglia.